Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/211

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purgatorio - canto xii 205

     Qual di pennel fu maestro o di stile
che ritraesse l’ombre e’ tratti ch’ivi
66mirar farieno uno ingegno sottile?
     Morti li morti e i vivi parean vivi:
non vide mei di me chi vide il vero,
69quant’io calcai, fin che chinato givi.
     Or superbite, e via col viso altero,
figliuoli d’Eva, e non chinate il volto
72sí che veggiate il vostro mal sentiero!
     Piú era giá per noi del monte vòlto
e del cammin del sole assai piú speso
75che non stimava l’animo non sciolto,
     quando colui che sempre innanzi atteso
andava, cominciò: «Drizza la testa;
78non è piú tempo di gir sí sospeso.
     Vedi colá un angel che s’appresta
per venir verso noi; vedi che torna
81dal servigio del dí l’ancella sesta.
     Di reverenza il viso e li atti adorna,
sí che i diletti lo ’nviarci in suso;
84pensa che questo di mai non raggiorna!»
     Io era ben del suo ammonir uso
pur di non perder tempo, sí che ’n quella
87materia non potea parlarmi chiuso.
     A noi venía la creatura bella,
bianco vestito e ne la faccia quale
90par tremolando mattutina stella.
     Le braccia aperse, e indi aperse l’ale;
disse: «Venite, qui son presso i gradi,
93e agevolemente omai si sale.
     A questo invito vegnon molto radi:
o gente umana, per volar su nata,
96perché a poco vento cosí cadi?»
     Menocci ove la roccia era tagliata:
quivi mi batté l’ali per la fronte;
99poi mi promise sicura l’andata.