Pagina:Alighieri, Dante – La Divina Commedia, 1933 – BEIC 1730903.djvu/213

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CANTO XIII

     Noi eravamo al sommo de la scala,
dove secondamente si risega
3lo monte che, salendo, altrui dismala:
     ivi cosí una cornice lega
dintorno il poggio, come la primaia;
6se non che l’arco suo piú tosto piega.
     Ombra non li è né segno che si paia;
parsi la ripa e parsi la via schietta
9col livido color de la petraia.
     «Se qui per dimandar gente s’aspetta,»
ragionava il poeta «io temo forse
12che troppo avrá d’indugio nostra eletta.»
     Poi fisamente al sole li occhi porse;
fece del destro lato a muover centro,
15e la sinistra parte di sé torse.
     «O dolce lume a cui fidanza i’ entro
per lo novo cammin, tu ne conduci»
18dicea «come condur si vuol quinc’entro.
     Tu scaldi il mondo, tu sovr’esso luci:
s’altra ragione in contrario non pronta,
21esser dén sempre li tuoi raggi duci».
     Quanto di qua per un migliaio si conta,
tanto di lá eravam noi giá iti,
24con poco tempo, per la voglia pronta;
     e verso noi volar furon sentiti,
non però visti, spiriti parlando
27a la mensa d’amor cortesi inviti.