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280 la divina commedia

     non credo che splendesse tanto lume
sotto le ciglia a Venere, trafitta
66dal figlio fuor di tutto suo costume.
     Ella ridea da l’altra riva dritta,
traendo piú color con le sue mani,
69che l’alta terra senza seme gitta.
     Tre passi ci facea il fiume lontani;
ma Ellesponto, lá ’ve passò Serse,
72ancora freno a tutti orgogli umani,
     piú odio da Leandro non sofferse
per mareggiare intra Sesto ed Abido,
75che quel da me perch’allor non s’aperse.
     «Voi siete nuovi, e forse perch’io rido»
cominciò ella «in questo luogo eletto
78a l’umana natura per suo nido,
     maravigliando tienvi alcun sospetto;
ma luce rende il salmo Delectasti,
81che puote disnebbiar vostro intelletto.
     E tu che se’ dinanzi e mi pregasti,
dí s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta
84a ogni tua question tanto che basti».
     «L’acqua» diss’io «e ’l suon de la foresta
impugnan dentro a me novella fede
87di cosa ch’io udi’ contraria a questa».
     Ond’ella: «Io dicerò come procede
per sua cagion ciò ch’ammirar ti face,
90e purgherò la nebbia che ti fiede.
     Lo sommo ben, che solo esso a sé piace,
fece l’uom buono e a bene, e questo loco
93diede per arra a lui d’eterna pace.
     Per sua difalta qui dimorò poco;
per sua difalta in pianto ed in affanno
96cambiò onesto riso e dolce gioco.
     Perché ’l turbar che sotto da sé fanno
l’esalazion de l’acqua e de la terra,
99che quanto posson dietro al calor vanno,