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8 A RUGGIERO BONGHI


Dante, il quale si proponeva in vece di aggiongerne due altri a compimento dell’opera. Però, riguardo alla nostra questione, è come se ci fossero anche questi. E n’abbiamo il miglior mallevadore che si possa desiderare: Dante medesimo. «Omettiamo» scrive egli nel quarto capitolo del libro secondo «di parlare ora del modo delle ballate e de’sonetti , perchè intendiamo dichiararlo nel quarto libro di quest’opera, dove trat-teremo del Volgare Mediocre.» Più sotto poi, divide in tre i generi delle cose che possono esser cantate, canenda videntur: e sono Tragedia, Commedia, Elegia. Per la Tragedia, dice doversi prendere il Volgare Illustre, quello della canzone; per la Commedia, ora il mediocre, ora l’umile, e della distinzione di questi si riserva di parlare nel quarto libro; per l’Elegia, l’umile.

Sicchè, e in ciò che è venuto fino a noi, e in ciò che ci manca, tutto s’aggira intorno a canzoni, ballate, sonetti, tragedia, commedia, elegia, cose da cantarsi; sempre poesia, niente altro che poesia.

E cosi l’aveva intesa Giovanni Boccaccio, piu d’un secolo e mezzo prima che comparisse la traduzione del libro di Dante, e con essa l’interpretazione del Trissino. Ecco le parole del Boccaccio nella Vita di Dante, comparsa in stampa la prima volta in fronte all’edizione, ora rarissima, della Divina Commedia, pubblicata nel 1477 da Vindelin da Spira, insieme col commento attribuito a Benvenuto da Imola:

«Appresso, già vicino alla sua morte, compose un libretto in prosa latina, il quale egli intitolò De Vulgari Eloquentia, dove intendeva di dare dottrina a chi imprender la volesse, del dire in rima. E comecchè per lo stesso libretto apparisca lui avere in animo in ciò comporre quattro libri; che più non ne facesse dalla morte soprappreso, o che perduti sieno gli altri, più non appariscono che due solamente.»

II Trissino messe questo squarcio nel frontispizio della sua traduzione, come un argomento in favore della autenticità del libro; ma volendo mettere in mostra solamente ciò che faceva per lui, usò la magra furberia di lasciare indietro le parole: «dove intendeva di dare dottrina a chi imprender