Pagina:Alighieri, Giuliani - Opere latine vol I - 1878.djvu/31

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12 AD ALESSANDRO MANZONI.



Ben si parrebbe a tatta prima ch’ei scambiasse Eloquentia con Locutio od Eloquium, come non di rado si scambiarono presso gli antichi scrittori romani. Ma se ciò fosse, avrebbero pronta ragione gli editori e interpreti, che ridussero quel titolo ad una forma più dispiegata e sbrigativa, «De Vulgari Eloquio, sive Idiomate.» Laddove dalla materia, trattata anche solo in parte, dobbiamo argomentare, che Eloquentia nel titolo del libro significa Facoltà del ben dire, e che indi tutto il libro deve pregiarsi come un «Trattato di dottrina del ben dire in Volgare<» Ond’è che ivi l’Autore chiama eloquenti gl’illustri ed egregi Dottori che poetarono nel proprio Volgare con eletta e polita maniera. Ed il Corbinelli, che prima aveva spiegato Eloquenza per Loquenza o Loquela, poi si corregge e rafferma, che nel libro suddetto Eloquenza viene a dire il Veriloquio, ossia il parlare letterato e grammaticale. (Trat. De Vulg. El., i, 10, 19.)

Checchè si pensi di questo, è per altro certo che Dante in quel Trattato volle bensì dare specialmente «dottrina del dire in rima,» come parve al Boccaccio ed ora a Voi, ma non escluse da cotal beneficio i Prosatori. Tant'è, che nell’avere in prima determinato qual sia e possa chiamarsi Volgare illustre, cardinale, aulico e curiale, pensava dipoi mostrare «chi siano quelli da stimarsi degni d’usarlo, e perchè e come e dove e quando e a chi lo si debba rivolgere.» Che se egli non ci diede compiuto il Trattato, e nel secondo libro venne quindi ad affermare come questo siffatto Volgare, grandioso e regolato con arte, si conviene soprattutto ai compositori di Canzoni, premette benanco che i Dicitori prosaici hanno da attingerlo da cotali poeti, appresso i quali rimane come fermo esemplare: «Prosaicantibus permanet firmum exemplar.» Sopra ciò anzi confessa che sta bene l’usarlo tanto in prosa, quanto in verso: «Ante omnia confitemur, latinum Vulgare illustre tam prosaice, quam metrice decere proferri.» Mi sembra adunque che Dante là dove vien ragionando del Volgare illustre, avesse ivi inteso di parlare non solo «del linguaggio della poesia, anzi di un genere particolare di poesia,» ma sì del linguaggio conveniente a trattare le grandi cose sì nella Poe-