Pagina:Alle porte d'Italia.djvu/295

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la marchesa di spigno 281

lui trionfante e felice, con le braccia aperte verso sua madre! Fu senza dubbio quella gioia che m’infuse nelle vene come una seconda gioventù, e che mi fece vivere ancora ventidue anni.... Eppure mi pigliava una grande tristezza, qualche volta, di non poterlo vedere, di viver sempre così lontana da lui. Come avrei dato volentieri quasi tutti gli anni che mi restavano a vivere, per stargli un po’ di tempo vicina, per abitare almeno nella città dov’egli abitava! Mi sarei contentata di vivere a Torino in una cameretta povera e oscura, di patire il freddo, d’essere sempre malata, pur di vederlo passare qualche volta a cavallo, alla testa del suo reggimento, e di sentire il mormorio d’ammirazione della folla, e delle donne gentili e dei giovanetti dire a bassa voce: è il conte di San Sebastiano, il figliuolo della marchesa di Spigno. — Questi desiderii mi soverchiavano il cuore, qualche volta, e mi mettevan delle malinconie, delle follìe di fanciulla, vecchia com’ero: l’idea di fuggire a Torino, di andarmi a avviticchiare alle sue ginocchia, come una disperata, che nessuna forza mi potesse più strappare da lui.... e piangevo, tutta sola, col viso nelle mani, e desideravo di morire. Ma poi le tristezze passavano. Una sua lettera, un saluto di lui che mi arrivasse, mi ridava coraggio, mi rifaceva serena e contenta. E allora pregavo per lui, di notte, guardando dalla finestra della cella le Alpi ch’egli aveva difese; e poi guardavo verso Superga, dov’era sepolto il mio Amedeo, e pensavo ch’egli l’avrebbe amato, che doveva amarlo dal cielo il mio Paolo, lui, valoroso, che aveva