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ROMA 111


del cavaliere; ma è l’ultimo sforzo e — si può anche affermare — l’ultimo bagliore che l’arte romana dà in quel crepuscolo imminente. Tanto è vero che i bassorilievi della colonna eretta in suo onore dopo le guerre dei Sarmati, dimostrano già — in mezzo ad alcuni particolari che per la loro raffinatezza vorrei chiamare di decadenza — la mano stanca e appesantita dell’artefice. — D’altra parte è evidente che il monumento fu una ripetizione della colonna di Traiano, ripetizione non fu fatta nè meno con esattezza e nella quale furono introdotte modificazioni nella palatino — avanzi del palazzo di settimio severo. (Fot. Alinari). proporzione, che le tolsero l’elegante armonia del modello originale.

Bisogna però aggiungere che i regni dei due imperatori filosofi non furono eccessivamente favorevoli all’arte. Il buon governo di Marco Aurelio non preservò l’impero dai flagelli delle guerre civili, delle carestie e delle pestilenze. È noto inoltre come il sovrano, deciso a non aumentare le gravezze dei suoi sudditi, vendesse le suppellettili imperiali, le raccolte di gemme e di vasi preziosi messe insieme da Adriano per poter sollevare i cittadini di Roma decimati dalla peste che gli eserciti d’oriente avevano portato nella metropoli l’anno 170 dell’Era volgare. Il greco Aristide ci ha lasciato scritto che in quel tempo l’universo era regolato come