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Pagina:Annali overo Croniche di Trento.djvu/112

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Libro Quarto. 85

sere formidabile à Bavari. Ricevi con benigno ciglio come sempre fecero gli tuoi antenati questi Ambasciatori, quali partiti da confederati vengono supplichevoli à te per gli confederati. Si dogliamo l’essere reservati per sperimentare cose più dure, s’adiriamo per esser sforzati à servire, nati liberi, calamità non provata d’alcuo de nostri tempi.

Mentre gli Trentini agitano la lor causa, rappresentano con mestitia, & ugual spirito lamentandosi, le sue calamità, commemorano il loro abbandono, espongono quanto crudelmente venivano tratatti, come in ogni conditione di persone s’esercitava crudeltà, ne hospiti, ne amici, ne vicini, ne confederati, ne nobili, & in quelli che erano chiari per honore, & gloria, quali cose dalle stesse fiere dovrebbon essere lontane, & chi non sà (dissero) quanto fù sempre mai la nostra Città ne’ tempi passati à cuore de Pontefici, Imperatori, & Reggi, l’autorità de quali dovrebbe essere da tutti riverita, & abbraciata. Nulladimeno sprezzate tutte queste il Duca Bavaro non solo volse annullare tutte le nostre antiche leggi, & Statuti, descritti da nostri antenati, ma anco distrusse da fondamenti tutta la nostra Republica, & le cose del publico non si vergognò usurparsi. Et (ò iniquità da non sopportarsi) dissipa, à suo volere, e consuma quelle cose s’aspetano alle Chiese, & nostri Pontefici. Induce, & sforza (cosa indegna) la parte della Città più debole à cose sporche, & infame. Et quello ch’è contra ogni humanità siamo sforzati, abbandonati, & scaciati, come fossimo stati rotti in Mare, & patito naufragio, andar errando per Terre, & Paesi, cercando aiuti, & soccorsi. Qual sarà quello che intendendo le nostre miserie, le nostre calamità non si converta in lacrime.

[Calamità de Trentini.] Qual sarà quel inhumano, quella Tigre, che consapevole delle nostre disgratie possi contenere, che non versin gli occhi suoi rivi di pianto prefigiti pure nella tua mente ò Prencipe clementissimo d’haver à tuoi piedi la nostra Republica, e tutto il popolo che si pieghi, & piangi la sue rovine, che ti dimandi soccorso, sarà donque possibile, che non gli compatischi. [Misera Città.] Cosi donque scazzi da te un popolo alla tua Altezza tanto ben affetto, cosi donque permetti ch’una Città tanto di Te amica se ne stij oppressa, conculcata, e ingolfata & in un mare de travagli, senza porgergli convenevol aiuto, senza soccorerla ? Sù Prencipe generossimo non voler ciò permettere, che con ogni sommissione te ne supplichiamo, siamo stati, già longo tempo favola, scherzo, e ludibrio