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96 i porti della maremma senese

Staio non procedevano prospere, e la perdita di Bologna, al cui riacquisto intendeva con ogni possa, ed i mali dello scisma recente, lo facevano debole in casa e fuori, e pensoso più di se che d’altrui. Rispose egli pertanto ai Senesi con parole colme di affetto, ma nella sostanza effimere: conoscere la costante loro devozione alla Chiesa, e perciò stargli a cuore di soccorrerli nello disavventure. Essere accuorato della perdita di Talamone sofferta dai Senesi, come di cosa sua propria; ma riuscirgli impossibile di promettere aiuto di soldatesche. La guerra di Romagna affaticare tutto il suo esercito, nè di là poterlo remuovere all’improvviso senza danno e pericolo evidente della Chiesa. Confidassero in Dio, che presto Lodovico d’Angiò verrebbe a vendicare le ingiurie e le violenze di re Ladislao1.

Non piacque la risposta del papa ai Senesi, che non chiedevano parole, ma armi, senza le quali Talamone sarebbe stato perduto forse per sempre. Quindi è che di nuovo ne scrissero ai Fiorentini, poi agli stessi Genovesi, che molto avendo partecipato nella usurpazione del porto, ne erano rimasti ora quasi padroni. I Fiorentini promisero di venire in soccorso alla repubblica con duecento fanti, ma non ne mandarono più che cenventicinque; che aveano quasi vuoto l’erario, e necessità di guardarsi molto alle spalle per l’ambizione di Ladislao2. Ma i Genovesi diedero risposte che palesavano intenzioni tutt’altro che favorevoli ai Senesi ed alla restituzione del porto, e ne allegavano a pretesto la lega esistente tra Siena e Firenze. Conosciuto il tenore di questa risposta, i Fiorentini scrissero ai Senesi quella essere risposta degna de’ Genovesi, soliti a farla da pirati, e i Fiorentini averlo imparato a spese proprie. Il pretesto addotto della occupazione di Talamone e della nimistà loro coi Senesi

  1. Diplomatico, perg. de’ 18 agosto 1410.
  2. Lettera della repubblica di Firenze dei di 8 settembre 1410.