Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 12 (1870).djvu/505

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sul riordinamento degli archivi 211

può ammettere il pubblico ai suoi segreti, senza paura e senza scrupoli. Alla storia, e non alla politica appartengono i documenti delle dinastie che regnarono, e dei Governi che non sono più1. Così la nuova ragione di Stato vendicava (chi lo avrebbe mai detto?) il gran Muratori, a cui erano chiuse in faccia le porte degli archivi, in compenso di aver rivelato all’Italia l’epoca più storica de’ suoi annali, e d’averle dato negli Annali la traccia perenne della sua storia, l’opera che in cent’anni non è invecchiata d’un giorno, e ad ogni secolo parrà recente.

La scienza storica sul limitare degli archivi deponeva la rettorica e il dommatismo. E allora si conobbe il difetto delle storie. Qua pochi fatti strepitosi; là due formule generali per ispiegare ogni cosa: qua data per istoria di popoli, quella di principi e di governi che andettero a ritroso della nazione: là tradizioni incerte con poveri documenti, per lo più genealogici, quasi rottami di vecchio edifizio rimessi insieme da ingegnoso architetto. Ma la storia d’Italia meno d"ogni altra si presta alle formule: più d’ogni altra s’inspira al popolo: come ogni altra vuol essere ricercata nelle istituzioni, che sono cause più che effetti di civiltà, nei costumi, nella coltura, nella economia, in ogni elemento della vita socievole. E questo materiale, più o meno artefatto, stava pure sparso in molti libri; gli archivi però l’avevano più greggio, ma di cava.

Penetrando nelle viscere di questa miniera, che sono gli archivi, gli Italiani ne compresero la ricchezza, come la varietà. Divisa in tre grandi periodi (decadenza dell’Impero, Età di mezzo, Epoca moderna), la Storia d’Italia, si vide che del primo non restano che frammenti. Ma da poi che i Comuni diedero segni d’una vita, che forse non si era mai spanta, ma che non era certamente stata mai così splendida e operosa, gli archivi cominciano ad attestarne l’opere e lo splendore nella costituzione politica, nelle relazioni lontane, nelle spedizioni marittime, nelle resistenze allo straniero, nella demolizione di ogni avanzo barbarico, nei monumenti gloriosi delle arti, nei lavori degli ingegni. Tutto poi segnato d’un carattere nazionale, massime dopo che il volgare comune suggellò con una stessa parola il pensiero italiano, non ostante che nelle diverse regioni serbassero gli Italiani cotanta varietà, da parere gli appennini come le alpi e il volgo scambia non senza perchè l’un vocabolo coll’altro), d.i parere gli appennini frontiera fra gente e gente, più che catena d’unione.

La storia è quella che è. Sicilia e Puglia, poi Napoli ebbero i re (re di troppe dinastie, e una sola italiana, però intristite sotto un

  1. Guizot, Mèmoires pour servir à l’histoire de mon temps; Paris 1860. pag. 398.