Pagina:Archivio storico italiano, serie 3, volume 13 (1871).djvu/243

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fra venezia e ravenna 239

[Della elezione degli Arcivescovi ravennati.] del pontefice, ma Raimondo Zocoli allora podestà di Ravenna scrisse a Gregorio IX (che rifiutatosi a confermare la elezione avea ordinato che alcuni cherici venissero a lui per informarlo delle intenzioni degli elettori e dei meriti dell’eletto) supplicandolo a voler confermare questo Tederico uomo provvido ed onesto, scelto concordemente dal clero quasi per ispirazione divina e senza studio di parte, tanto più che tutto il popolo fremeva avendo udito che il papa indugiava a confermare il suo eletto1. E come in questo si vede la dipendenza ed insieme la indipendenza di Ravenna dalla suprema autorità ecclesiastica, così la misura della sua libertà politica e della soggezione all’imperatore si ricava da una lettera di Federigo per la quale due anni innanzi comandava al Comune di rifare i danni a certo Donfollino giudeo, a cui era stato ingiustamente tolto certo olio, mentre Pietro Traversai era podestà di Ravenna2. Ed il papa all’udire che il popolo era sì fortemente commosso, non solamente confermava Tederico, ma concedeva a lui ed ai suoi successori tredici vescovati, diciannove monasteri, quarantaquattro rôcche e qui

Taccio d'Argenta di Lugo e di mille
Altre castella e popolose ville


[Usanze della Chiesa ravennate.] a lui assegnate insieme a lunga serie di onori e di privilegi. Niuno avrebbe potuto ereditare cimiteri o beni di Chiesa, i vescovi suffraganei nessun rilevante negozio trattare senza licenza dell’arcivescovo ravennate, quando però non ne fossero comandati dal papa o dal suo legato. Da questa bolla si rileva come gli arcivescovi in questo secolo solessero stringere i contratti senza testimoni, dannosa usanza che per l’avvenire è. vietata: è invece con-

  1. Arch. Arc. Rav. Capsa E, n. 1922; Amadesii, Cronotaxim, III, pag. 179.
  2. Fant., Mon. Rav. III, n. 37. Arch. Arc.