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426 delle antiche relazioni

indarno oblio ricorso alle città italiane che furono ben liete di vedere ridotta a mal punto la rapace e prepotente vicina.

Di ciò accortisi i Veneziani tutto ordinarono a modo di non aver più bisogno di esse, e con l’imperatore Michele Paleologo e col Soldano di Tunisi rinnovarono i loro trattati per modo che ebbero il privilegio di esportare grano dalle loro contrade. E dalla Rarberia e dalla Sicilia e dallo parti meridionali d’Italia e più di tutto dall’Inghilterra veniva grano a Venezia, dai dominj del signore di Ferrara, del patriarca di Aquileia, del conte di Gorizia il grano talora doveva esservi portato anche gratuitamente, sicchè la città che non avea tanto di terra da pittarvi un seme, divenne il granaio di tutta Italia.

E contro a coloro che le aveano negato ogni aiuto, trovò dura vendetta, che essendo signora dell’Adriatico potè impacciare per modo le navigazione di quel mare; che i Siciliani, i Genovesi ed i Pisani ne ebbero gravissimi danni. Ma peggio stavano le città vicine a Venezia, come Treviso, Padova, Ferrara, Bologna, Ravenna, Ancona, che neppure potevano comunicare fra di loro, poichè un grosso tributo era imposto ad ogni nave che solcasse l’Adriatico a settentrione del capo di Ravenna da una parte e del golfo di Fiume dall’altra, e tutti i porti dell’Adriatico, da quello di Venezia in fuori, erano chiusi al sale ed alle altre merci.

Primi se ne lamentano i Bolognesi, e poichè gli oratori loro sono male accolti in Venezia, incominciano a murare un castello a Primaro sul Po e lo compiono malgrado che un naviglio veneto giunto improvvisamente con molti e svariati ingegni di guerra tenti di impedirne la edificazione; si afforzano allora i Veneziani nel loro castello di S. Alberto sull’altra riva del fiume; accorrono i Bolognesi aiutati da alcune città lombarde con quarantamila uomini (tanto era universale l’odio contro i Veziani) e dopo varia fortuna sono vincitori, ma l’anno