Pagina:Archivio storico italiano, serie 5, volume 7 (1891).djvu/219

Da Wikisource.

rassegna bibliografica 199


Alfonso Professione. Dalla Battaglia di Pavia al Sacco di Roma. Parte I. Dalla Battaglia di Pavia al Trattato di Madrid. Siena, tip. dell’Ancora, 1890. - In 8.°, di pp. 80.


Giulio Alberoni dal 1708 al 1714. - Ivi, 1890. - In 8°, di pp. 82.

Questi due lavori del Professione non debbono sfuggire all’attenzione degli studiosi di storia, sia perchè condotti in buona parte su documenti inediti raccolti e compulsati con diligenza in vari archivi, sia perchè inspirati da quella coscienza e serenità di giudizio che rendono utili veramente così i documenti, come le induzioni o le deduzioni che su questi si fondano.


I.


Nel primo lavoro si studia il momento importantissimo nel quale, subito dopo la battaglia di Pavia, ebbe principio il predominio spagnuolo in Italia, e come allora gl’Italiani, pur sentendo il pericolo e il danno della imminente servitù, e tentando con vane aspirazioni e con intrighi di scongiurarlo, vi si adattassero infine con ignavia e cecità irreparabili. Perciò Lodovico Canella in una delle sue molte lettere inedite della Biblioteca Capitolare di Verona, esclamava: «io penso che il principale fondamento che faccino (gl’imperiali) per insignorirsi d’Italia sia sopra il poco animo che «hanno in tante occasioni conosciuto in quelli che la governano» (p. 10). Notevole poi tutto quanto si riferisce alla dubbia e timida politica di Clemente VII, ed ai negoziati intralciatissimi per una lega fra i potentati italiani da contrapporre alla soverchiante potenza di Carlo V; notevolissime le particolarità sulla congiura del Morone, del quale meglio risaltano le ambizioni personali, i raggiri e le girandole per usare la parola efficacissima del Guicciardini; mentre sempre più trista e vergognosa si rivela la condotta del Pescara. Del resto sembra che il papa avesse forse pel primo l’idea di una lega, e di conferire al Pescara il regno di Napoli, quatunque di tutte quelle mene e della celebre congiura fosse l’autor vero e l’anima il subdolo cancelliere, ch’ebbe sopratutto a cuore di gratificarsi ora l’uno ed ora l’altro padrone, i Francesi, il duca Sforza, ed infine l’imperatore.

Ripete il P. che se invece del Pescara si fosse scelto per capo dell’impresa Giovanni delle Bande Nere, avrebbero avuto effetto le nobili aspirazioni colle quali il Machiavelli conchiude il suo Principe; ma in mezzo a quella profonda degenerazione del carattere nazionale, che cosa sapeva o poteva fare l’ultimo dei capitani di ventura, con tutto il suo valore ed i suoi ideali di for-