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ma dalla risposta di messer Francesco se ne può dedurre in gran parte il contenuto. Oltre le ingiurie innominabili, solite, necessarie, in ogni invettiva del Quattrocento, Lodrisio ribatteva le accuse contro papa Piccolomini e cercava difenderne la memoria, mostrando come avesse beneficato l’ingrato Filelfo e datigli seicento ducati; quindi parlava dell’indegnazione suscitata dalla lettera al nuovo pontefice tra gli amici del defunto, rimpiroverava al Filelfo la sua vita intera con certe allusioni ad una «taberna tholentinate» ed a vizi di varia natura, crapula, libidine, etc, gli
causa haec curans. Tua enim sunt argumenta illa, non sua, et commenticia haec disputatio offendere amicum non potest. Tu nihilhominus rei Communi intende et beneficium praesta litteris nostris, gratum viventibus, utile et iucundum bis qui nobis succedent. Salvare iubebis nomine meo Praesulem Mutinensem Angelum Acciaiolum et Ciccum Simonettam bene de me semper promeritos. Vale». Da questa lettera si scorge che l’Apologia di Lodrisio era una questione accademica (commenticia disputatio) in forma di dialogo, interlocutori i vescovi di Ancona e di Verona, e dedicata forse allo stesso Filelfo Quanto alla questione cronologica, basta notare che vi si parla come di cosa recente del cardinalato dell’Ammannati conferitogli nel dicembre del 1461: nel 1465 i rallegramenti del Crivelli sarebbero stati freschi ed opportuni! Ma esclusa l’identificazione dell’Apologia (e quindi, crederei, anche dell’Apologeticus che sarebbe una cosa medesima coll’Apologia) colla difesa di Pio II contro il Filelfo, non si può mettere quest’ultima prima della prigionia di messer Francesco, poiché risponde alla lettera di lui a Paolo II. che certo sussegue alla prigionia durata nella vacanza della cnttedra pontificia. Non gioverebbe del resto l’argomento posto innanzi dal De Rosmini, t. II, p 142, che nella risposta del Filelfo non si accenni che il Crivelli parlasse della prigionia stessa: non solo, essendo essa vera, importava all’umanista tolentinate di tacerne piuttosto che seguire l’avversario sopra un terreno così difficile e scabro, ma nella famosa lettera XXVI, 1, si trovano traccie abbastanza chiare della cosa. In primo luogo il Filelfo dice di tacere rispetto a Pio II per riguardo allo Sforza (ciò che poi non fa), e del cardinal Francesco Piccolomini scrive: «Quantum in me fuerit benivolentiae, quam odio, esse malo», ma, quel che è più, aggiunge a Lodrisio : «Et ais ea re universos cardinales adversus me concitatos, offensos, irritatos, exacerbatos. O quantas tragoedias iactitas! Sed nemo tibi credit homini futili et mendaci. Num potuit ullis artibus, ullis dolis, ullis fraudibus, malivolus et insidiosus quispiam ita reverendissimos et sapientissimos illos patres in sententiam suam agere ut mihi quod maxime studeliat, incommodaret? Nam quod in perniciem meam molitus sit, nemo est qui nesciat».