Pagina:Aretino, Pietro – Il secondo libro delle lettere, Vol. I, 1916 – BEIC 1734070.djvu/144

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facendo, vi ringrazio de la cortesia vecchia e de la gentilezza nuova; e da qui inanzi sia tra noi carnale affetto di amicizia. E, perché io propongo chi ama ad ogni obligazione, confesso esser gran debitore a la bontá che vi spigne ad amar me, che voglio che mi siate fratello ne la maniera che messer Giovanmaria mi era figliuolo. Io non ho potuto ritener le lagrime ne lo udir la novella che me ne date. Io istimava che egli fosse secolar vivo e non frate morto. Quanti strani fini soprastanno ai nostri esiti ! Chi avria mai pensato che il buon giovane dovesse morire scapuccino? Anzi-non era da crederne altro, percioché il poverino sempre temè Iddio, e gli andari suoi davano piú odore di religioso che di mercante. Egli non usci mai de l’onestá dei costumi né de la modestia de la bontá, benché Amore, che non riguarda niun dovere, lo provocasse, con le sue ire, con i suoi furori e con le sue ingratitudini, a diverse disperazioni. Ma la dottrina e la santimonia è dono universale dei casati. Or, come si sia, egli ha fornite le sue fatiche, né ha piú faccenda alcuna tra gli uomini. Le sue ossa dormono il sonno che dee chiuder gli occhi d’ogni vivente, e la sua anima gode de la visione eterna insieme con gli spiriti dei beati. E, per fornirla in allegrezza, vi giuro ch’io participo de la consolazione che vi infonde nel core la tenerezza dei figliuoli cari e dolci, la coppia dei quali avete acquistati con la sorella de la innocente memoria in matrimonio legittimo. E, perché la natura, che ve gli ha dati con volontá di Dio, non sia ingiuriata da la avarizia de la fortuna né de la oblivione de la morte, fate che la virtú sia la lor ereditá principale. Intanto pigliate sicurtá di me, di ciò che è in me e di quel che è di me, nel modo che volete che io prenda di voi, di ciò che è in voi e di quello che è di voi.

Di Vinezia, il 6 di giugno 1539.