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DCII

A LO IMMORTALE ANDREA DORIA

Non mai statua fu piú meritata di quella che ora Genova eleva al Doria. Per esser voi pregio unico degli uomini pregiati, vorrei, o signore, come divoto di cotanta eccellenza salutarvi; ma, sapendosi che il gran Carlo, imperador fortunato, si umilia, intanto che vi chiama padre, essendo io una ombra vile, non so con quali parole mi nomini quel senatore ottimo, quel capitano invitto e quel principe magno, nato al tempo di Cesare nel collegio cristiano e nel seno di Liguria per grado de la Maestá Sua, per benefizio de la fede vera e per gloria de P Italia nostra. Ma, poiché io debbo pur dirlo, salvete, braccio de la reli gion di Giesu, core de le imprese sante e flagello de la insolenza infedele. Per la qual cosa tutte le cittá di battesimo son tenute a consacrarvi la statua, a similitudine di quella che oggi con altèra solennitá vi consacra Genova. Ed è ben dritto, da che voi, per propria bontá di natura e per mera generositá d’animo, l’avete arrichita d’una libertá perpetua e d’una pace eterna. Talché vi si debbono gli altari e i tempii si per i benemeriti sopradetti, si per la deitá attribuitavi da coloro che possono iscorgere in clic modo raffrenate i furori dei venti e le tempeste dei mari: conciosiaché quegli, che finser Neptuno per iddio, pronosticorono l’essenza del mirabile vostro avedimento; né si creda che questo o quello oceano abbia mai visto né mai sia per vedere altro nume che il celeste Doria. Ed è certo che il carro, sul quale egli si figura, è il Senno che vi regge; i monstri, che tirano, sono gli essempi dei vostri stratagemi; il tridente, che l’arma, è il tremendo del valor che vi move; lo ignudo, che lo discopre, la chiarezza de l’opre che vi fan tale; le ninfe, che l’adorano, son le virtú che vi esaltano; i tritoni, che gli suonan le trombe, i gridi de la Fama che vi divulga;