Pagina:Ariosto, Ludovico – Lirica, 1924 – BEIC 1740033.djvu/151

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vi - stanze 145

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     Su gli aspri monti in una selva folta,
dai lochi ameni ove abitava prima,
si trasse, poi ch’al vero Dio rivolta
s’era la gente quasi in ogni clima
e che l’oblazion si vide tolta
e rimaner inculta e in poca stima;
e fuor d’ogni comercio in quella parte
è di poi stata sempre a far sua arte.
9
     Quivi la fama, a cui nulla s’asconde,
penetrando, apportò che Costantino
il seggio imperiail volea da l'onde
del Tebre trasferir presso all’Eussino.
Alla Sibilla fur poco gioconde
queste novelle, che ’l fiero destino
antivedea ch’a Roma dal partire
del stolto imperator dovea seguire.
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     E perché avea per le bell’opre antiche
di Cesari e di Scipii e di Marcelli
le voglie ancor, come ebbe sempre, amiche
all’alto imperio che si accrebber quelli,
va discorrendo come rompa o ’ntriche
le fila ordite e, in somma, far vedelli
disegna le ruine e i gravi danni
ch’avea Italia a patir ne’ futuri anni.
11
     E via piú che de l’altra Italia tutta
la gran cittá, del mondo allor regina,
che molte e molte volte a patir brutta
e fiera strage avrá foco e ruina;
ch’ora sará da vandali distrutta,
or da goti, or da gente saracina,
or da gli unni e molt’altri populi empi,
de’ quali il nome oscuro era in que’ tempi.