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ottavo 167


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     Parea ad Orlando, s’una verde riva
d’odoriferi fior tutta dipinta,
mirare il bello avorio, e la nativa
purpura ch’avea Amor di sua man tinta,
e le due chiare stelle onde nutriva
ne le reti d’Amor l’anima avinta:
io parlo de’ begli occhi e del bel volto,
che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.

81
     Sentia il maggior piacer, la maggior festa
che sentir possa alcun felice amante;
ma ecco intanto uscire una tempesta
che struggea i fiori, et abbatea le piante:
non se ne suol veder simile a questa,
quando giostra aquilone, austro e levante.
Parea che per trovar qualche coperto,
andasse errando invan per un deserto.

82
     Intanto l’infelice (e non sa come)
perde la donna sua per l’aer fosco;
onde di qua e di lá del suo bel nome
fa risonare ogni campagna e bosco.
E mentre dice indarno: — Misero me!
chi ha cangiata mia dolcezza in tòsco? —
ode la donna sua che gli domanda,
piangendo, aiuto, e se gli raccomanda.

83
     Onde par ch’esca il grido, va veloce,
e quinci e quindi s’affatica assai.
Oh quanto è il suo dolore aspro et atroce,
che non può rivedere i dolci rai!
Ecco ch’altronde ode da un’altra voce:
— Non sperar piú gioirne in terra mai. —
A questo orribil grido risvegliossi,
e tutto pien di lacrime trovossi.