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canto terzodecimo 269


4
     Isabella sono io, che figlia fui
del re mal fortunato di Gallizia.
Ben dissi fui; ch’or non son piú di lui,
ma di dolor, d’affanno e di mestizia.
Colpa d’Amor; ch’io non saprei di cui
dolermi piú che de la sua nequizia,
che dolcemente nei principii applaude,
e tesse di nascosto inganno e fraude.

5
     Giá mi vivea di mia sorte felice,
gentil, giovane, ricca, onesta e bella:
vile e povera or sono, or infelice;
e s’altra è peggior sorte, io sono in quella.
Ma voglio sappi la prima radice
che produsse quel mal che mi flagella;
e ben ch’aiuto poi da te non esca,
poco non mi parrá, che te n’incresca.

6
     Mio patre fe’ in Baiona alcune giostre,
esser denno oggimai dodici mesi.
Trasse la fama ne le terre nostre
cavallieri a giostrar di piú paesi.
Fra gli altri (o sia ch’Amor cosí mi mostre,
o che virtú pur se stessa palesi)
mi parve da lodar Zerbino solo,
che del gran re di Scozia era figliuolo.

7
     Il qual poi che far pruove in campo vidi
miracolose di cavalleria,
fui presa del suo amore; e non m’avidi,
ch’io mi conobbi piú non esser mia.
E pur, ben che ’l suo amor cosí mi guidi,
mi giova sempre avere in fantasia
ch’io non misi il mio core in luogo immondo,
ma nel piú degno e bel ch’oggi sia al mondo.