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decimonono 109


100
     — Buon fu per me (dicea quell’altro ancora),
che riposar costui non ho lasciato.
Difender me ne posso a fatica ora
che de la prima pugna è travagliato.
Se fin al nuovo dí facea dimora
a ripigliar vigor, che saria stato?
Ventura ebbi io, quanto piú possa aversi,
che non volesse tor quel ch’io gli offersi. —

101
     La battaglia durò fin alla sera,
né chi avesse anco il meglio era palese;
né l’un né l’altro piú senza lumiera
saputo avria come schivar l’offese.
Giunta la notte, all’inclita guerriera
fu primo a dir il cavallier cortese:
— Che faren, poi che con ugual fortuna
n’ha sopragiunti la notte importuna?

102
     Meglio mi par che ’l viver tuo prolunghi
almeno insino a tanto che s’aggiorni.
Io non posso concederti che aggiunghi
fuor ch’una notte picciola ai tua giorni.
E di ciò che non gli abbi aver piú lunghi,
la colpa sopra me non vuo’ che torni:
torni pur sopra alla spietata legge
del sesso feminil che ’l loco regge.

103
     Se di te duolmi e di quest’altri tuoi,
lo sa colui che nulla cosa ha oscura.
Con tuoi compagni star meco tu puoi:
con altri non avrai stanza sicura;
perché la turba, a cu’ i mariti suoi
oggi uccisi hai, giá contra te congiura.
Ciascun di questi a cui dato hai la morte,
era di diece femine consorte.