Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. II, 1928 – BEIC 1738143.djvu/155

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CANTO VENTESIMOPRIMO


1
     Né fune intorto crederò che stringa
soma cosí, né cosí legno chiodo,
come la fé ch’una bella alma cinga
del suo tenace indissolubil nodo.
Né dagli antiqui par che si dipinga
la santa Fé vestita in altro modo,
che d’un vel bianco che la cuopra tutta:
ch’un sol punto, un sol neo la può far brutta.

2
     La fede unqua non debbe esser corrotta,
o data a un solo, o data insieme a mille;
e cosí in una selva, in una grotta,
lontan da le cittadi e da le ville,
come dinanzi a tribunali, in frotta
di testimon, di scritti e di postille,
senza giurare o segno altro piú espresso,
basti una volta che s’abbia promesso.

3
     Quella servò, come servar si debbe
in ogni impresa, il cavallier Zerbino:
e quivi dimostrò che conto n’ebbe,
quando si tolse dal proprio camino
per andar con costei, la qual gl’increbbe,
come s’avesse il morbo sí vicino,
o pur la morte istessa; ma potea,
piú che ’l disio, quel che promesso avea.