Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. II, 1928 – BEIC 1738143.djvu/166

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160 canto


44
     E se questo mi nieghi, io dirò dunque
ch’in te non sia la fé di che ti vanti;
ma che fu sol per crudeltá, qualunque
volta hai sprezzati i miei supplici pianti;
non per rispetto alcun d’Argeo, quantunque
m’hai questo scudo ognora opposto inanti.
Saria stato tra noi la cosa occulta;
ma di qui aperta infamia mi risulta. —

45
     — Non si convien (disse Filandro) tale
prologo a me, per Argeo mio disposto.
Narrami pur quel che tu vuoi, che quale
sempre fui, di sempre essere ho proposto;
e ben ch’a torto io ne riporti male,
a lui non ho questo peccato imposto.
Per lui son pronto andare anco alla morte,
e siami contra il mondo e la mia sorte. —

46
     Rispose l’empia: — Io voglio che tu spenga
colui che ’l nostro disonor procura.
Non temer ch’alcun mal di ciò t’avenga;
ch’io te ne mostrerò la via sicura.
Debbe egli a me tornar come rivenga
su l’ora terza la notte piú scura;
e fatto un segno de ch’io l’ho avvertito,
io l’ho a tor dentro, che non sia sentito.

47
     A te non graverá prima aspettarme
ne la camera mia dove non luca,
tanto che dispogliar gli faccia l’arme,
e quasi nudo in man te lo conduca. —
Cosí la moglie conducesse parme
il suo marito alla tremenda buca;
se per dritto costei moglie s’appella,
piú che furia infernal crudele e fella.