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canto ventesimoquarto 245


68
     Quasi sul collo del destrier piegosse
per l’aspra botta il Saracin superbo;
e quando l’elmo senza incanto fosse,
partito il capo gli avria il colpo acerbo.
Con poco differir ben vendicosse,
né disse: A un’altra volta io te la serbo:
e la spada gli alzò verso l’elmetto,
sperandosi tagliarlo infin al petto.

69
     Zerbin che tenea l’occhio ove la mente,
presto il cavallo alla man destra volse;
non sí presto però, che la tagliente
spada fuggisse, che lo scudo colse.
Da sommo ad imo ella il partí ugualmente,
e di sotto il braccial roppe e disciolse;
e lui ferí nel braccio, e poi l’arnese
spezzògli, e ne la coscia anco gli scese.

70
     Zerbin di qua di lá cerca ogni via,
né mai di quel che vuol, cosa gli avviene;
che l’armatura sopra cui feria,
un piccol segno pur non ne ritiene.
Da l’altra parte il re di Tartaria
sopra Zerbino a tal vantaggio viene,
che l’ha ferito in sette parti o in otto,
tolto lo scudo, e mezzo l’elmo rotto.

71
     Quel tuttavia piú va perdendo il sangue;
manca la forza, e ancor par che nol senta:
il vigoroso cor che nulla langue,
val sí, che ’l debol corpo ne sostenta.
La donna sua, per timor fatta esangue,
intanto a Doralice s’appresenta,
e la priega e la supplica per Dio,
che partir voglia il fiero assalto e rio.