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Pagina:Ariosto, Ludovico – Orlando furioso, Vol. III, 1928 – BEIC 1739118.djvu/133

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trentesimosettimo 127


104
     Non fu giá d’ottener questo fatica;
che quella gente, oltre al timor ch’avea
che piú faccia Marfisa che non dica,
ch’uccider tutti et abbruciar volea,
di Marganorre affatto era nimica
e de la legge sua crudele e rea.
Ma ’l populo facea come i piú fanno,
ch’ubbidiscon piú a quei che piú in odio hanno.

105
     Però che l’un de l’altro non si fida,
e non ardisce conferir sua voglia,
lo lascian ch’un bandisca, un altro uccida,
a quel l’avere, a questo l’onor toglia.
Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida,
fin che Dio e santi alla vendetta invoglia;
la qual, se ben tarda a venir, compensa
l’indugio poi con punizione immensa.

106
     Or quella turba d’ira e d’odio pregna
con fatti e con mal dir cerca vendetta:
com’è in proverbio, ognun corre a far legna
all’arbore che ’l vento in terra getta.
Sia Marganorre essempio di chi regna;
che chi mal opra, male al fine aspetta.
Di vederlo punir de’ suoi nefandi
peccati, avean piacer piccioli e grandi.

107
     Molti a chi fur le mogli o le sorelle
o le figlie o le madri da lui morte,
non piú celando l’animo ribelle,
correan per dargli di lor man la morte:
e con fatica lo difeser quelle
magnanime guerriere e Ruggier forte;
che disegnato avean farlo morire
d’affanno, di disagio e di martíre.