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236 canto


48
     Quel ch’a Rinaldo in mille e mille imprese
piú non avvenne mai, quivi gli avviene;
che come vede il mostro ch’all’offese
se gli apparecchia, e ch’a trovar lo viene,
tanta paura, quanta mai non scese
in altri forse, gli entra ne le vene:
ma pur l’usato ardir simula e finge,
e con trepida man la spada stringe.

49
     S’acconcia il mostro in guisa al fiero assalto,
che si può dir che sia mastro di guerra:
vibra il serpente venenoso in alto,
e poi contra Rinaldo si disserra;
di qua di lá gli vien sopra a gran salto.
Rinaldo contra lui vaneggia et erra:
colpi a dritto e a riverso tira assai,
ma non ne tira alcun che fera mai.

50
     Il mostro al petto il serpe ora gli appicca,
che sotto l’arme e sin nel cor l’agghiaccia;
ora per la visiera gliele ficca,
e fa ch’erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo da l’impresa si dispicca,
e quanto può con sproni il destrier caccia:
ma la Furia infernal giá non par zoppa,
che spicca un salto, e gli è subito in groppa.

51
     Vada al traverso, al dritto, ove si voglia,
sempre ha con lui la maledetta peste;
sa modo trovar, che se ne scioglia,
ben che ’l destrier di calcitrar non reste.
Triema a Rinaldo il cor come una foglia:
non ch’altrimente il serpe lo moleste:
ma tanto orror ne sente e tanto schivo,
che stride e geme, e duolsi ch’egli è vivo.