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Nel piú tristo sentier, nel peggior calle
scorrendo va, nel piú intricato bosco,
ove ha piú asprezza il balzo, ove la valle
è piú spinosa, ov’è l’aer piú fosco,
cosí sperando tôrsi da le spalle
quel brutto, abominoso, orrido tòsco;
e ne saria mal capitato forse,
se tosto non giungea chi lo soccorse.
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Ma lo soccorse a tempo un cavalliero
di bello armato e lucido metallo,
che porta un giogo rotto per cimiero,
di rosse fiamme ha pien lo scudo giallo;
cosí trapunto il suo vestire altiero,
cosí la sopravesta del cavallo:
la lancia ha in pugno, e la spada al suo loco,
e la mazza all’arcion, che getta foco.
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Piena d’un foco eterno è quella mazza,
che senza consumarsi ognora avampa:
né per buon scudo o tempra di corazza
o per grossezza d’elmo se ne scampa.
Dunque si debbe il cavallier far piazza,
giri ove vuol l’inestinguibil lampa:
né manco bisognava al guerrier nostro,
per levarlo di man del crudel mostro.
55
E come cavallier d’animo saldo,
ove ha udito il rumor, corre e galoppa,
tanto che vede il mostro che Rinaldo
col brutto serpe in mille nodi agroppa,
e sentir fagli a un tempo freddo e caldo;
che non ha via di torlosi di groppa.
Va il cavalliero, e fere il mostro al fianco,
e lo fa trabboccar dal lato manco.