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GiOte ſon quattro dóne, in ſu la ſpiaggia
Che ſubito ha mandate Logiſtilla,
La valoroſa Andronica, e la ſaggia
Phronefia, e l’honeſtiffima Dicilla,
E Sophroſina caſta, che come haggia
Quiui a far piú ch l’altre arde esfauilla
l’eſercito ch’al mondo e ſenza pare
Del cartello eſce, e ſi diſtende al mare.
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Sotto il cartel ne la tranquilla ſoce:
Di molti e groſſi legni era vna armata
Ad vn botto di ſquilla: ad vna voce
Giorno e notte a battaglia apparecchiata
E coſi ſu la pugna, aſpra & atroce:
E per acqua, e per terra incominciata,
Per cui ſu il regno fottofopra volto,
C’hauea giá Alcina alla ſorella tolto.
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O di quante battaglie il ſin ſucceſſe
Diuerſo a quel che ſi credette inante,
Non ſol ch’Alcina alhor non rihaueffe
(Come ſtimoffi) il ſugitiuo amante,
Ma de le naui, che pur dianzi ſpeffe
Fur ſi, ch’apena il mar ne capia tante
Fuor de la ſiamma che tutt’ altre auapa
Con vn legnetto ſol miſera ſcampa.
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Fuggeſi Alcina, e ſua miſera gente
Arſa e preſa riman, rotta e ſommerſa,
D’ hauer Ruggier perduto ella ſi ſente
Via piú doler che d’ altra coſa auerſa,
Notte e di per lui geme amaramente
E lachryme per lui da gliocchi verſa,
E per dar ſine a tanto aſpro martire
Speſſo ſi duol di non poter morire.
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Morir non puote alcuna Fata mai
Fin chel Sol gira, o il ciel nò muta ſtilo
Se ciò non ſorte: era il dolore assai
Per muouer Cloto ad inaſparle il ſilo
O qual Didon ſinia col ferro i guai,
O la Regina ſplendida del Nilo
Hauria imitata con mortifer ſonno:
Ma le Fate morir ſempre non ponno.
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Torniamo a ql di eterna gloria degno
Ruggiero, e Alcina ſtia ne la ſua pena
Dico di lui, che poi che ſuor del legno
Si ſu condutto in piú ſicura arena,
Dio ringratiando, che tutto il diſegno
Gliera ſucceſſo, al mar volto la ſchena
Et affrettando per l’aſciutto il piede
Alla rocca ne va, che quiui ſiede.
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Ne la piú ſorte anchor ne la piú bella
Mai vide occhio mortai pria ne dopo,
Son di piú prezzo le mura di quella
Che ſé Diamante ſortino o Piropo,
Di tai gemme qua giú non ſi fauella
Et a chi vuol notitia hauerne, e d’uopo
Che vada quiui: che non credo altroue
(Se non ſorſè ſu in ciel) ſé ne ritruoue.
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Quel che piú fa, che lor ſi ichina e cede
Ogn’ altra géma, e che mirando in eſſe
L’huom ſin in mezo all’anima ſi vede
Vede ſuoi vitii, e ſue virtudi eſpreffe,
Si che a luſinghe poi di ſé non crede,
Ne a chi dar biaſmo a torto gli voleſſe,
Farti mirando allo ſpecchio lucente
Se ſteffo conofeendofi prudente.