Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/344

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 [79]
Ma poi che’l mio dettino iniquo e duro
     Voi ch’io vi laſci, e non ſo in man di cui,
     Per qſta bocca, e per queſti occhi giuro
     Per queſte chiome onde allacciato ſui,
     Che diſperato nel profondo oſcuro
     Vo de lo’nferno onde il penſar di vui
     C habbia coſi laſciata, assai piú ria
     Sara d’ognaltra pena che vi ſia.

 [80]
A queſto la meſtiffima Iſſabella
     Declinando la faccia lachrymoſa:
     E congiungendo la ſua bocca a quella
     Di Zerbin, languidetta come roſa:
     Roſa no colta in ſua ſtagion, ſi ch’ella
     Impallidiſca in ſu la ſiepe ombroſa:
     DifTe: non vi penfate giá mia vita
     Far ſenza me queſt’ ultima partita.

 [81]
Di ciò cor mio neſſun timor vi tocchi
     Ch’ io vp ſeguirui o I cielo o ne lo’nferno
     Conuien ch l’uno e l’altro ſpirto ſcocchi
     Inſieme vada, inſieme ſtia in eterno:
     Non ſi toſto vedrò chiuderui gliocchi
     O che m’ucciderá il dolore iterno:
     O ſé quel non può tanto, io vi prometto
     Con qſta ſpada hoggi paffarmi il petto.

 [82]
De corpi noſtri ho achor nò poca ſpeme
     Che me morti che viui habbian ventura,
     Qui ſorſè alcun capiterá: ch’inſieme
     Moſſo a pietá: dará lor ſepoltura,
     Coſi dicendo, le reliquie eſtreme
     De lo ſpirto uital che morte ſura
     Va ricogliendo con le labra meſte:
     Fin ch’una minima aura ve ne reſte.

 [83]
Zerbin la debol voce riforzando
     Diſſe, io vi priego e ſupplico mia Diua
     Per qllo amor che mi moſtraſte, quado
     Per me laſciaſte la paterna riua,
     E ſé comandar poſſo, io vel comando:
     Che ſin che piaccia a Dio reſtiate viua:
     Ne mai per caſo pogniate in oblio
     Ch quáto amar ſi può v’ habbia amato io.

 [84]
Dio vi prouedera d’ aiuto ſorſè
     Per liberarui d’ ogni atto villano:
     Come ſé quando alla ſpelonca torſe
     Per indi trarui, il Senator Romano,
     Coſi (la ſua merce) giá vi ſoccorſe
     Nel mare, e contra il Biſcaglin profano
     E ſé pure auuerra che poi ſi deggia
     Morire, allhora il minor mal s’ elleggia.

 [85]
Non credo che queſt’ ultime parole
     Poteſſe eſprimer ſi, che foſſe inteſo
     E ſini come il debol lume ſuole
     Cui cera machi, od altro I che ſia acceſo:
     Chi potrá dire a pien come ſi duole
     Poi che ſi vede pallido e diſtefo
     La giouanetta, e ſreddo come ghiaccio
     Il ſuo caro Zerbin reſtare in braccio.

 [86]
Sopra il ſanguigno corpo s’ abbandona
     E di copioſe lachryme lo bagna,
     E ſtride ſi, ch’intorno ne riſuona
     A molte miglia il boſco e la campagna,
     Ne alle guancie ne al petto ſi perdona
     Che l’uno e l’altro no percuota e ſragna:
     E ſtraccia a torto l’auree creſpe chiome
     Chiamado ſempre in van l’amato nome.