Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/430

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 [92]
Doue intendendo poi ch’eran ſaluati:
     E gli auerſarii lor morti e diſtrutti:
     E Marphiſa e Ruggiero erano ſtati
     Che gli haueano a quei termini ridutti:
     E ſuoi ſratelli, e ſuoi cugin tornati
     A Montalbano inſieme erano tutti,
     Gli panie vn’hora vn’anno di trouarſi,
     Con eſſo lor la dentro ad abbracciarli.

 [93]
Venne Rinaldo a Montalbano, e quiui
     Madre, moglie, abbraccio, ſigli e ſratelli
     E i cugini che dianzi eran captiui:
     E panie quando egli arriuo tra quelli
     Dopo gran fame Hirondine ch’arriui
     Col cibo in bocca a i pargoletti Augelli,
     E poi ch’un giorno vi ſu ſtato o dui
     Partiſſi e ſé partire altri con lui.

 [94]
Ricciardo, Alardo, Ricciardetto e d’effi
     Figli d’Anione, il piū vecchio Guicciardo
     Malagigi, e Viuian, ſi ſuron meſſi
     In arme, dietro al Paladin gagliardo,
     Bradamante aſpettando che s’appreſſi
     Il tempo, ch’ai diſio ſuo ne vien tardo,
     Inferma diſſe a gli ſratelli ch’era
     E non volſe con lor venire in ſchiera.

 [95]
E ben lor diſſe il ver, ch’ella era inſerma
     Ma non p febbre o corporal dolore,
     Era il diſio che l’alma dentro inſerma
     E le fa alteration patir d’Amore:
     Rinaldo in Montalban piū non ſi ferma
     E ſeco mena di ſua gente il fiore
     Come a Parigi appropinquoffe, e quato
     Carlo aiuto vi dira l’altro canto.


CANTO XXXI



 [1]

C
He dolce piuch piū giocondo ſtato

     Saria di quel d’un amoroſo core?
     Che viuer piū felice e piū beato
     Che ritrouarſi in ſeruitu d’Amore?
     Se non foſſe l’huom ſempre ſtimulato
     Da quel ſoſpetto rio, da quel timore:
     Da quel martir, da quella ſreneſia,
     Da quella rabbia detta geloſia.

 [2]
Perho ch’ogni altro amaro che ſi pone
     Tra queſta ſoauiſſima dolcezza,
     E vn augumento, vna perfezione:
     Et e vn condurre Amore a piū ſinezza
     l’acque parer fa ſaporite e buone
     La ſete, e il cibo pel digiun s’apprezza
     Non conoſce la pace, e non l’eſtima
     Chi prouato non ha la guerra prima,

 [3]
Se ben nò veggon gliocchi ciò che vede
     Ognhora il core, in pace ſi ſopporta:
     Lo ſtar lontano, poi quando ſi riede
     Quanto piū lungo ſu, piū riconforta:
     Lo ſtare in ſeruitu ſenza mercede
     (Pur che nò reſti la ſperanza morta)
     Patir ſi può, che premio al ben ſeruire
     Pur viene al ſin, ſé ben tarda a venire.