Pagina:Ariosto - Orlando furioso, secondo la stampa del 1532, Roma 1913.djvu/479

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 [35]
L’ira multiplico ſi, che li ſpinfe
Da le male parole a i peggior fatti,
Alceſte contra il Re la ſpada ſtrinfe
Fra mille ch’in ſuo aiuto s’ erari tratti,
E mal grado lor tutti iui l’eſtinfe
E ql di anchor gli Armeni hebbe disfatti
Con l’aiuto de Cilici e de Thraci
Che pagaua egli: e d’altri ſuoi ſeguaci.

 [36]
Seguito la vittoria, & a ſue ſpeſe
     Senza diſpendio alcun del padre mio,
     Ne rende tutto il regno í men d’un meſe,
     Poi per ricompenſarne il danno rio,
     Oltr’ alle ſpoglie che ne diede, preſe
     In parte, e grauo in parte di gran Fio
     Armenia e Capadocia che confina
     E ſcorfe Hyrcania ſin ſu la marina.

 [37]
In luogo di triompho al ſuo ritorno
     Facèmo noi penſier dargli la morte,
     Reſtammo poi per non riceuer ſcorno
     Che lo veggian troppo d’amici ſorte,
     Fingo d’ amarlo, e piú di giorno in giorno
     Gli do ſperanza d’effergli conſorte,
     Ma prima contra altri nimici noſtri
     Dico voler che ſua virtú dimoſtri.

 [38]
E quando ſol, quando con poca gente
     Lo mando a ſtrane impreſe, e periglioſe,
     Da farne morir mille ageuolmente,
     Ma lui ſucceſſer ben tutte le coſe,
     Che torno con vittoria, e ſu ſouente
     Con horribil perſone e monſtruofe
     Con Giganti a battaglia e Leſtrigoni
     Ch’erano infeſti a noſtre regioni.

 [39]
Non ſu da Euriſtheo mai, no ſu mai tanto
     Da la Matrigna eſercitato Alcide
     In Lerna, I Nemea, í Thracia, i Erimato
     Alle valli d’Etholia, alle Numide
     Su’l Teure, ſu l’Hibero, e altroue, quanto
     Con prieghi ſinti, e con voglie homicide
     Efercitato ſu da me il mio amante:
     Cercando io pur di torlomi d’auante.

 [40]
Ne potédo venire al primo intento
     Vengone ad vn di non minore effetto,
     Gli ſo quei tutti ingiuriar ch’io ſento
     Che per lui ſono, e a tutti í odio il metto,
     Egli che non ſentia maggior contento
     Che d’ubbidirmi, ſenza alcun riſpetto
     Le mani a i ceni miei ſemp hauea pronte,
     Senza guardare vn piú d’ ualtro in ſróte.

 [41]
Poi che mi ſu, per queſto mezo, auiſo
     Spéto hauer del mio padre ogni nimico:
     E per lui ſteffo Alceſte hauer conquiſo:
     Che nò ſi hauea per noi laſciato amico,
     Quel ch’io gli hauea co ſimulato viſo
     Celato fin’allhor, chiaro gli eſplico:
     Che graue e capitale odio gli porto:
     E pur tuttauia cerco che ſia morto.

 [42]
Conſiderando poi, s’io lo faceſſi
     Ch’ in publica ignominia ne verrei
     (Sapeaſi troppo quanto io gli doueſſi
     E crudel detta ſempre ne farei)
     Mi panie fare assai ch’io gli toglieſſi
     Di mai venir piú inanzi a gliocchi miei:
     Ne veder ne parlar mai piú gli volſi
     Ne meſſo vdi ne lettera ne tolſi.