Pagina:Aristofane - Commedie, Venezia 1545.djvu/496

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D’ARISTOFANE. 248
menone tolete su tutta la sustanza mia.
H. che non.
Hor che la porto con teco.
H. che dep.
Nò, nò, ho paura che n’anche presso à la Capitanea quando metterò giu, io non le avicini.
H. che non.
Per Giove, con qualche inventione, à ciò che habia le robe. Ma di queste piste communemente participerò. hora è il dovere ch’io vada, egli è da cenar con seco, non è da tardare.
Vec.
Che gli huomini non veniranno? gia è tardo. e io imbellettata sono co'l belletto, e vestita di rosso, e ociosa contando il mio canto à me, scherzando come riceverei alcuno di loro che venissero. Muse venite a la bocca mia, trovandomi qualche canzonetta di quelle Ioniche.
Al. u.
Tu mi ha passata, e sei prevenuta ò marcida, hai pensato di vindemiare i solitarij luoghi senza me, e addure alcuno cantando? e io canterò, et quello per la turba, cio è spettatori ha non so che di ridere, e d’apiacere.
Vec.
Disputa con costei e obediscela: e tu piglia un sonatore amico, e l’instrumenti, e canta un canto degno di me, e di te.
Al.u.
Se alcuno vuole havere qualche bene venga à dormire presso di me, che la sapienza non è ne i giovani, ma in quelli che hanno approvato, ne alcuna piu amarà di me l’amico, con il quale mi congiungerò, ma volarà in altra cosa.
Gio.
Non haver invidia à i giovanetti, che il delicato è