Pagina:Arrighi - La scapigliatura e il 6 febbrajo, Milano, Redaelli, 1862.djvu/161

Da Wikisource.


Il Dal Poggio era un uomo a sistemi. Nel suo smisurato orgoglio, l’uomo grave, credeva in buona fede d’essere maestro consumato di scienza maritale, e viveva nella fatua certezza che una donna a cui egli aveva fatto l’onore di dar il nome e la mano non potesse ingannarlo. Fin dal primo giorno del suo matrimonio, l’infelice, coll’idea di educar Noemi alla vita coniugale, le era andato recitando una litania di massime, di precetti e di aforismi così pedantescamente pesanti, da inorridir l’amore e da farlo scappar lontano un miglio: il matrimonio, per esempio, non essere pretesto di piaceri, ma vita di doveri e di sagrifizii reciproci: la felicità coniugale non star nell’amore ma nel dovere:... e così via.

Noemi sulle prime aveva ascoltato suo marito colla mansuetudine d’uno scolaro di buona voglia; ma poi a poco a poco era accaduto nel di lei cuore il fatale fenomeno dell’antipatia che la doveva portare alla colpa.

Quanto al Dal Poggio, persuaso che Noemi non potesse per tutta la vita mutar d’un pelo i suoi sentimenti, dacchè ei l’aveva munita di così solidi principii, viveva tranquillo nella sua sicurezza, la quale gli durava sempre come un’abitudine, come una convinzione.


Le parole del vecchio Firmiani non potevano dunque avergli dato che un leggero sospetto quello cioè, che Noemi, vedendosi un po’ trascurata, non respingesse, come avrebbe dovuto, le galanterie di