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MURANO E LE SUE VETRERIE 11

l'esser serbate in antico a regger unicamente candele, sono state adattate oggi a ricevere le serpentine fiammelle della luce elettrica.

Tutto si fabbrica così, semplicemente. Le boccie più sottili di cristallo, le coppe, i famosi “soffi„ non sono più complicati ad ottenersi. Qui, più che la genialità dell'operaio, occorre buon fiato ed abilità di mano.

lavoro in musaico.eseguito dalla Compagnia Venezia-Murano La materia fusa, presa in cima alla canna, si gonfia come una bolla di sapone a furia di fiato, si fa roteare per aria, si arrotonda sopra una lastra di ferro, e tutto questo con atti solleciti, incessanti, perchè la materia fluida non abbia tempo di rassodarsi, prima di avere assunta la voluta forma.

Curioso è anche veder fabbricare i fili di vetro bucati, con i quali si faranno poi le margherite. Anche qui gli operai sono due: uno prende il vetro fuso, e lo soffia — e se le margherite dovranno risultar di più di un colore, fa rotolare la palla sopra una lastra, sulla quale sono stati disposti dei pezzi di vetro colorati. Ricuoce un po' il suo pastone, sempre attaccato in cima alla canna, vi risoffia dentro ancora e allora l'altro operaio, con un arnese di ferro, fora il centro del composto e senza lasciar presa corre al lato opporso della fucina: la pasta si assottiglia, si distende, si allunga sinché, raggiunta la sottigliezza voluta, i due depongono in terra il loro prolisso maccherone. Il quale poi, con macchine apposite, verrà tagliato in piccole perline. Naturalmente, tutto ciò che si fa nelle vetrerie di Murano non è limitato a questa breve descrizione. Occorrerebbe un libro, non già un semplice articolo, a numerare le varie officine di spianatura, di arrotatura, ecc.; i riparti ove, con l'aiuto di stampi vengono fabbricati bottiglie, piattini, bicchieri, tutti gli oggetti di vetro d'uso comune.

Ma, per quanto interessanti, non son codesti i laboratori ove il visitatore si arresti più incuriosito. Quello che sorprende, che colpisce, che attrae è la parte artistica di questa industria vetraria, sono i forni ove semplici operai, senz'altra guida che il loro estro, il loro gusto e l'esperienza acquistata, con una forbice ed una pinza per tutto armamentario, creano, lì per lì, con rapidità prodigiosa, dei veri capolavori di grazia, esilità, intonati alle più tenue delicate sfumature.

Eppure, la genialità e la valentia degli artisti muranesi non si arresta qui. Quei nitidi cristalli, quelle coppe, soprattutto quei vasi, nei quali sembra sia materiata la liquida trasparenza dell'acqua, non son parsi ancora sufficientemente vaghi. Si volle renderli sontuosi, degni di portare alle labbra di un dio il nettare elisio, di serbar freschi i fiori del paradiso terrestre.

Visitando il laboratorio Toso-Borella non si può che pensare un simile proposito — tanto è, starei per dire, l'accanimento artistico col quale viene arricchito ed abbellito il semplice vetro.

La morte ha testè rapito Francesco Toso-Borella, che fu artista eccezionale sotto ogni aspetto. A lui si deve se l'arte del grafito in oro e delle decorazioni in smalti risorse e si affermò gloriosamente. Ora, a capo del laboratorio e suo successore, è il figlio Vittorio Toso-Borella — il quale, giovanissimo ancora, è già ben innanzi nella via percorsa con tanta gloria del padre. Così, come in tutta Murano — ove abbandonano le dinastie che chiamerò vetraie — anche questa è una famiglia a tradizioni dinastiche.

Infatti, nel laboratorio, accanto al giovane capo, lavorano abilissime le sorelle — ed è meraviglia vedere questa bella fraternità d'arte e d'affetto, unita alla venerazione del padre insigne, e nel nobile intento di continuarne la nobilissima fama. la coppa di s. marco Riproduzione Toso-Borella Nello studio Toso-Borella ho ammirato veri gioielli artistici, fra i quali la cosidetta “coppa di S. Marco„, riproduzione di quella che fu trovata infranta nelle fondamenta del campanile; graffiti finissimi, smalti condotti con una bellezza di disegno ed un buon gusto di tinte e di insieme tale, da rendere il semplice oggetto vetro prezioso al pari della tazza murrina, donata da Silla alla sposa Valeria, tazza che valeva dai 30 ai 40 milioni di sesterzi, vale a dire dai 7 ai 10 milioni di lire italiane!

Ma se si voglia vedere come l'industria moderna tarpi le ali ai voli della opulenza romana, bisogna andare al Museo, ove, accanto a molte murrine moderne, belle quanto le antiche — ed assai assai a più buon mercato! — si ammira, in uno sguardo solo, tutta la storia gloriosa dell'industria muranese.