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FEBBRAIO 147

e quelli che così venivano eletti giuravano solennemente di giudicare secondo coscienza. Avevano essi un posto riservato nel teatro e, dopo il concorso, in mezzo ai gridi e alla ingiunzioni appassionate della folla, ciascuno scriveva su una tavoletta il posto che egli assegnava ai singoli concorrenti. Finalmente una nuova ed ultima estrazione a sorte designava i cinque giudici definitivi e il nome del vincitore era proclamato e coronato sul posto dell'arconte con una corona di èdera. E con la corona per una premio, che quale fosse ce lo dice il Pascoli che a sua volta lo fa dire al poeta degli Iloti, Esìodo Ascrèo:

Venni per mare, ad Aulide; ho passato
l'Euripo, Indetta a Calcide una gara
e di lotte e di corse era, e di canto.
Vinsi codesto tripode di bronzo
cantando gesta degli eroi.

E, ancora, nel recinto sacro di Diònyso si collocava una stele con iscrittovi il nome, la data, le oper del poeta vincitore, a perpetuarne la memoria. Ad assistere l'arconte dell'organizzazione e nella direzione della festa erano degli epimelèti (due per tribù eletti per voto a mani levate) e l'agonothète, che allestiva i cori a spese dello Stato, del quale era il delegato.

E come Atene, tutti i grandi centri, Abdera, Chio, Corcira, Coo, Delfo, Delo, Lemmo, Nasso, Pèrgamo, Teo, Smirne, Tolemàide d'Egitto, ecc., ecc., avevano queste feste, le quali erano il segno visibile della prosperità e della ricchezza dello Stato.

Se per i Greci le feste descritte erano occasionate dall'apertura dei vasi del vino, regolate quindi dal corso e dal ricorso delle stagioni, non meno si inspiravano ad esso le feste romane che tutte, in questo mese, accennavano, rubo al Vaccai, “alla fine del sonno invernale ed erano a un tempo una preparazione al prossimo risveglio„.

La prima di esse, che faceva parte di un sol gruppo con le Quirinali e le Terminali (17 e 23 di febbraio) era quella delle Lupercati, e serviva alla purificazione della città del Palatino.

COmprendeva essa tre atti: un sacrificio, la corsa dei Luperci, un banchetto. Il sacrificio era offerto avanti l'imagine della Lupa, e si offerivano capre, becchi ed anche cani. Presiedeva all'immolazione il Flamen Dialis, assistevano le Vestali, e si cantavano inni in onore del Fauno:

Idibitus agrestis fumant altaria Fauni
hic ubi discretas insula rumpit aquas.

Poi si conducevano avanti l'altare due giovani: il sacerdote toccava loro la fronte col coltello rosso del sangue delle vittime sacrificate, asciugando tosto il sangue con un biòccolo di lana bagnato nel latte; e i giovani, dopo ciò, dovevano ridere. É facile vedere in questi riti un accenno, meglio, un simbolo degli antichi sacrifici umani, caduti in dissuetudine: il latte è segno di purificazione, il riso di gioiosa resurrezione.

Il secondo atto della festa era la corsa dei Luperci, membri del collegio sacro. Correvano nudi, solo coperti dalla pelle del capro ucciso, con la testa coronata di fiori; e correndo agitavano lunghe strisce di quella stessa pelle, e percoteano chi più con quella sferza potessero raggiungere, e in modo speciale le femmine che loro offerivano animosamente e le mani e il tergo per ottenere la desiderata fecondità.

“O sposa, che aspetti? NOn per virtù d'erbe o di preci o di magica arte tu sarai madre.

“Ricevi con pazienza le sferzate di quella destra feconda„.

Così Ovidio, e con piena e intera serietà e buona fede. O tempora! o mores! E la festa era delle più antiche di Roma, e fu fi quelle che più resistettero agli urti del tempo e delle nuove consuetudini e del trionfante cristianesimo; fra gli stessi neo-cristiani continuò essa a raccogliere un certo favore, finchè il papa Gelaso la condannò ufficialmente e vi sostituì la festa della Purificazione di Maria.

Ed eccoci a un'altra antichissima festa di Roma, la festa Fornacale o dei Forni, privata insieme e pubblica, come quella che associata l'idea del focolare, centro della vita domestica, con il ricordo dei tempi in cui il farro era il precipuo alimento del popolo romano. Nella famiglia, la festa consisteva in un sacrificio avanti il forno, seguito da un pasto, sopra tutto di farina. Fuori, aveva per oggetto la purificazione dei campi, in attesa della prossima raccolta, e la consacrazione dei limiti rispettivi; poi le trenta Curie si riunivano nel Foro, e i Curiali vi facevano un sacrificio comune. Tale festa non aveva data fissa, ma si chiudeva il dì delle feste Quirinali, il 17; e quelli che non erano ad essa intervenuti prendean parte alle Feriæ stultorum, le feste degli stolti.

Poco c'è da dire della festa Quirinale, se non che era stata instituita da Numa re, in onore di Romolo, al quale aveva decretato sacrifici annui e templi; instituendo in onore del fondatore di Roma un nuovo sacerdote, il Flamine Quirinalis, scelto fra la classe patrizia. “Il sacrificio, tolgo dal Vaccai, consisteva in semplici libazioni, esclusa qualsiasi vittima, e cessando il giorno di essere festivo quando la cerimonia era compiuta„.

Veniva dopo di essa un'altra festa, religiosa e familiare ad un tempo, che trova un perfetto riscontro nei nostri tempi; le feste Ferali, annua commemorazione dei defunti. Cadevano al giorno 21, sebbene s'iniziassero il 13, con le Parentali. Durante tali feste eran sospesi tutti i negozi e le faccende, chiusi i tempi, spenti i fuochi su le are, rimandati i matrimoni. Quanto alle offerte erano molto umili; ma i morti, bontà loro, si contentavan di poco; qualche fiore collocato in un pezzo di vaso, dei frutti ordinari e lacuni grani di sale. E il giorno dopo, terminati gli omaggi ai morti, le Caristie, piccola festa del tutto familiare, riunivano tutti i membri di una stessa famiglia a un banchetto al quale alcun forestiero non potea prendere parte. Tutti davano opera fraterna a sopire le eventuali discordie e inimicizie, e stavano riuniti fino alla sera, nè si separavano prima di aver insieme bevuto alla prosperità della razza e a quella della patria.

L'ultima delle feste dedicate alla Terra, e dopo le lustrazioni e ele purificazioni, era la Terminale, in onore del dio Termine, tutore della proprietà privata, al quale Tazio aveva consacrato un altare sul colle Tarpeo.

“Ecco, scrive il Vaccai che a sua volta paràfrasa da Ovidio, ecco l'ara su cui viene posto il fuoco del focolare domestico; mentre arde, un fanciullo vi getta per tre volte un pugno di grani, una fanciulla fa liquefare un favo di miele e altri spruzzano vino, cantando tutti le lodi del dio. A questo aggiungevasi il sacrificio di un agnello o di una troia di latte„.

Con questa invocazione agli dèi tutelari della casa e della famiglia, si chiudeva la serie dei sacrifici propri al mese di febbraio, e i nostri padri, compiuti i riti lustrali di cui abbiamo parlato, si preparavano alla venuta della primavera che già si annunziava col ritorno del sole, delle rondini, del calore buono e fecondo.


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