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154 ARS ET LABOR

ricevevano i loro ospiti, i quali a mala pena riuscivano a frenare la loro curiosità e la loro impazienza, perchè frenare il signor Di Below non si faceva ancora vedere.

Finalmente egli venne, non già ultimo, ma proprio l'ultimissimo: l'apparire della Corte non avrebbe suscitato tanto orgasmo.

Con la massima disinvoltura egli salutò i padroni di casa, e fece il suo bravo inchino al suo comandante.

Questi, ridendo giovialmente, gli porse la mano, e disse a voce alta, mentre tutto intorno regnava un profondo silenzio: «Be', caro Below, è felicemente tornato dal suo viaggio di servizio?»

Un immenso disinganno si dipinse in tutti i volti. Dunque questo era il motivo; bisognava pur convenire che esso non rispondeva niente affatto all'aspettativa!

Solamente un viaggio di servizio!

Se lo si fosse saputo prima, si poteva trovare una scusa, e restare a proprio bell'agio comodamente a casa.

Il cameriere annunziò che il pranzo era servito, e subito dopo sedettero a tavola.

Naturalmente il discorso cadde sul disgraziato concerto, e sulle sue conseguenze. Il signor WInterberg mulinava per la testa di andare a piantare le tende in un'altra città. Il Circolo musicale era in agonia; tutti i soci si erano dimessi, cosicchè l'intera società era ormai ridotto al solo inserviente, che aveva l'incarico di portare i messaggi, e che non si poteva licenziare su due piedi, ma solo dopo parecchi mesi, perchè aveva un contratto ad anno.

La signorina Elena per lungo tempo era stata incerta, chi dovesse scegliere per suo cavaliere a tavola, poichè la diceria che circolava sul suo conto, e su quello di Below, non le era ignota.

Alla inclinazione che sentiva di avere pel giovane ufficiale, si aggiungeva il dispetto che le faceva la mania del suo prossimo di far pettegolezzi, e, con un: «Appunto per ciò», proprio all'ultimo momento cambiò l'ordine dei posti.

Naturalmente non passò inosservato il modo vivace con cui essi conversavano assieme, e specialmente la vicina di sinistra di Below era molto imbronciata, perchè egli non le aveva ancora rivolto una parola.

«Non è proprio possibile sapere, signor tenente, dove il suo viaggio di servizio fu diretto? o la domanda è indiscreta?» gli chiese ella di punto in bianco.

Per caso in quel momento tutti tacevano, e regnava un profondo silenzio, quando Below disse: «Niente affatto, signora: io.... io sono stato all'isola di Heligoland».

Ma fortuna volle che ciò passasse inosservato, giacché, proprio in quel punto, all'illustrissimo signor Colonnello andò attraverso la gola qualche cosa, ond'egli si mise a tossire come un cane, mentre tutti gli altri ufficiali, trattenendosi a tento, nascondevano la bocca col tovagliolo.

«Ah! è davvero una cosa interessante», proseguì la signora, «Heligoland mi piace: v'era più nessun bagnante?»

«Io, a dire il vero, non me ne sono curato», rispose Below: «ero là per ragioni di servizio»; e, dopo avere un poco riflettuto, soggiunse: «Come ognuno sa, Heligoland è ora una fortezza di mare».

«Ma forse il suo reggimento sarà distaccato colà?» chiese un'altra signora; «ho letto pochi giorni fa, che sono imminenti estesi dislocamenti di truppe. Heligoland guadagnerebbe naturalmente, se vi avesse stanza un reggimento di cavalleria. Come vi sarebbe allora attraente la stagione dei bagni!»

Gli ufficiali scoppiarono in una sonora risata, e il Colonnello esclamò: «Cavalleria, che combatte contro i bastimenti moderni; un attacco colla lancia contro una corazzata; il pensiero è nuovo e buono, signora! con ciò si schiude alla cavalleria un campo d'azione del tutto nuovo».

Dopo cena, quando tutti si erano già augurata una buona digestione, Below s'intrattenne a conversare calorosamente con la padroncina di casa nel vado di una finestra.

«É stata ella veramente ad Heligoland?» gli domandò la fanciulla. «Mi perdoni, se torno ancora una volta su questo argomento».

Egli scoppiò in un'allegra risata. «Ella ha ragione, signorina» esclamò, «io fui ad Heligoland. Almeno noi ufficiali usiamo dire così, quando... Ebbene, a lei lo posso dire senz'altro: andare ad Heligoland non significa, nel nostro gergo, nient'altro, che essere gli arresti in casa».

Essa lo guarda cogli occhi spalancati e pieni di meraviglia. «Ella è stata agli arresti? Ciò non mi piace in lei; e lei lo dice con tanta indifferenza? Qualche cosa di vero c'è dunque nella diceria che lei abbia, se non addirittura ammazzato, maltrattato un subalterno?»

A tali parole egli fu per montare sulle furie. «Chi osa dire tali cose?» domandò adirato: ma poi subito si contenne: «non vale la pena di inquietarsi per ciò, no; del resto, io non sono un tal malfattore. Tutta la mia colpa consiste in ciò: che bevvi cognac».

«Ma, signor Di Below», interruppe la signorina un po' incredula, «lei si fa beffe di me».

«Giuro che dico la verità», egli rispose tutto allegro. «Ella sa che il giorno del concerto noi avemmo un allarme. Il nostro nuovo comandante di divisione, quando si è in servizio, non è un angelo neppur la domenica: si figuri poi gli altri giorni. Tre giorni di arresto egli minacciò a chiunque non avesse tenuta la stessa condotta, che se vi fosse stato il più bel sole al mondo. Ahimè! e il sole davvero non risplendeva; faceva un freddo del diavolo; ed io, per riscaldami, ed anche per non buscarmi un raffreddore, bevvi un sorso di cognac. Anch'io appartengo a quella genia di uomini che non hanno occhi nella schiena, talchè non mi accorsi che il Generale cavalcava dietro di me. Mi domandò se avessi bevuto del cognac anche se il sole avesse brillato; e, siccome io, secondo la verità, dovetti rispondere di no, egli soggiunse: «Che ufficiali bevano in sevizio cognac, mi è del tutto