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di ridurlo a più miti consigli. Tutto, invano. Ed allora la squadra internazionale si mosse al compimento d'una dimostrazione navale. Questa prese di mira Metellino. Poi Lemno. Essa sarebbe proceduta senza dubbio, verso i Dardanelli, e probabilmente l'Islam politico, sarebbe uscito dalla violenta competizione, lasciandovi tutte le poche penne maestre, che ancora inservono ai brevi e bassi voli dell'impero mussulmano. Fortunatamente Tewfik — gran visir — ebbe più giudizio del Padiscià. Ad Iddlitz-Kiosk, si ebbe un momento di resipiscenza. L'accordo coll'Europa circa il controllo finanziario in Macedonia, fu raggiunto con qualche piccola concessione, reclamata dal Divano, quale paittaforma d'una provvida intesa. E così, oggi lo spettro d'una guerra generale, scomparve dal cielo di cobalto che si specchia nel Bosforo incantato. E — per questa vola almeno — il grande “ ammalato di Stambul „ è sfuggito ad un altro trauma. Ed ha quindi la prospettiva di proseguire — con una quiete relativa, nell'esaurimento inesorabile del suo stato comatoso: indice irrefragabile del suo avviamento al sepolcro...

La Nemesi misteriosa — di cui cantava Omero — la vindice e perpetua missione — continua, implacabile, l'inseguimento di quella sua vittima settantaseienne, che risponde al nome di Francesco Giuseppe, imperatore e re. Non tendono a cessargli intorno le miserande peripezie della sua tragica domesticità. Da un quarto di secolo, la sua si è fatta una catastrofica esistenza.

Ha cominciato colla orrenda scenda del suo ereditario Rodolfo, il suicida di Meyerling, colla druda baronessina Wetsera, nella funerea notte del 30 gennaio 1889. E pareva che il suo ciclo di disastri intimi, dovesse chiudersi coll'efferato assassinio che gli soppresse l'augusta ed errabonda consorte, l'imperatrice Elisabetta, spenta dal nefando Luccheni, a Ginevra, il 10 settembre 1898. Ma non fu così. E sulla testa del vegliardo D'Asburgo, continuarono a discendere — come i magli d'una colossarel gualchiera — i colpi affrettati del fato. E non bastarono le vicende convulsive dei Parlamenti austriaco ed ungherese. Nè gli scandali d'una mezza dozzina fra Arciduchi ed Arciduchesse del sangue. Nè il matrimonio derogativo di Stefania, sua nuora, nè di Elisabetta, abbiatica sua. Nè il nodo morganatico del suo ereditario di risulta, Francesco Ferdinando, che compromise la successione al trono, sposando la vezzosa boema Sofia di Choteck, patentata, per la circostanza, “ contessa di Hohenberg „. Nè le adultere e clamorose vicende delle toscane Arciduchessine congiunte d'Asburgo-Lorena, che portarono e portano tuttavia attraverso il mondo la piccante — ed antipatica caratteristica — dei loro amori... extraconiugali.

E come se tutto ciò non ancora bastasse, ecco la sventura battere di nuovo col piede di scheletro alla porta della sua reggia — per assalire, a soli quarant'anni, anche l'altro suo nipote, l'arciduca Ottone — sul quale l'infelice zio imperiale, raccoglieva tutto il suo affetto e tutta la sua più profonda simpatia. E così — vecchia quercia fulminata dalla sventura — Francesco Giuseppe è quasi il solo sopravvisuto al crollo generale di quella sua casa, che, mezzo secolo fa, da Vienna dettava legge all'universo....

Scriviamo — e la vita politica d'Italia nostra si riassume nella caduta del Gabinetto Fortis per la questione del modus vivendi enalogo commerciale colla Spagna e del ministeriale rimpasto.

Ma, sull' argomento, io mi limito ad affermare la mia incompetenza. Io invoco a mia giustificazione il fatto che i vini sfuggono alla mia giurisdizione.

Perocché io sono un giornalista... astemio.

F. Giarelli.