Pagina:Autobiografia di Monaldo Leopardi.pdf/129

Da Wikisource.

del conte monaldo leopardi 115

lungo la strada dietro le siepi, e spararono alcuni colpi di fucile contro i Francesi. Un picchetto di cacciatori li avrebbe snidati, ma i Francesi ingannati da quella temerità e supponendo che tutto il paese fosse in armi, retrocederono. Le bandiere della gran Nazione rincularono in faccia a venti facchini recanatesi. Non si sapeva credere quella ritirata, ma quando se ne fu certi, gli urli e gli evviva di un popolo baccante arrivarono fino alle nuvole, e il suono delle campane non cessò in tutto il giorno. Tutti ripresero fiato, si credettero invincibili, e le armate della Republica sembrarono una cosa da ridere. Il sig. Condulmari, il quale era fuggito come gli altri, ricomparve, e fra qualche ora marciò con molto popolo alla conquista di Loreto. Strada facendo ruppe i condotti che portano le acque in quella città, perchè aveva sentito dire che le piazze si prendono con la fame, e con la sete. I Francesi male informati delle cose nostre abbandonarono Loreto, e il nostro Generale entratovi liberamente fece cantare nella Chiesa un Te Deum solenne in musica, e ritornò a dormire a casa.

Fino dalla sera precedente volendo sottrarmi a quella baronda, avevo regalati venti scudi al comandante Gentili e ottenutone il permesso di lasciare l’uffizio di Governatore, e andarmene. Nel giorno dunque 17 mandai la mia Famiglia in una casa rurale nel territorio di Monte Lupone, e non potendo seguirla perchè mia moglie era vicina al parto, mi annicchiai con essa in una casa colonica non molto lungi dalla città. Mio fratello, e il zio Pietro vennero con me. Quei giorni furono in Recanati giorni di anarchia, e di orrore. Tutti comandavano, e tutti rubbavano. Torme di briganti venivano e partivano ogni momento correndo ora all’un paese ora all’altro, e la campana suonava sempre a martello, tanto qui come nelle terre circonvicine. I gridi e le minaccie di un popolo forsennato, la contradizione delle