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136 autobiografia

le disavventure mai sono così gravi come sembrano a primo aspetto, ed anzi qualche volta reputiamo funesti certi avvenimenti i quali non ci arrecano male veruno. Ammaestrato da mille timori che mi hanno atterrito senza ragione, quando sento un annunzio infausto prendo tempo per addolorarmene, e trovo sempre che se mi fossi rattristato secondo la prima apparenza, avrei gettata per lo meno una metà della mia pena. Bensì conviene prender tempo ancora prima di abbandonarsi alla gioja, perchè se il Diavolo non è tanto brutto quanto si crede, anche il sole ha le sue macchie, e insomma l’uomo prudente prima di credere il bene o il male deve esaminarlo bene da tutte le parti, e assicurarsi di non precipitare il giudizio. Se avessi osservata questa regola mi sarei risparmiata la pena grandissima che ebbi una notte verso li 10, o duodeci di agosto. Stavo appunto per coricarmi quand’eccoti un bisbiglio improviso sulla strada, e un clamore di gente che va, che viene, e grida «aiuto, suonate la campana a martello; Recanati va a fiamme e fuoco». Mi pare tuttora di sentire il brivido che mi scorse a quelle voci in tutte le membra e il terrore che diffuse nell’animo mio la memoria di quel suono fatale. Non dubitai un momento che i Francesi, rotte le deboli linee degli insurgenti, venissero col ferro e col fuoco ad esercitare fra noi la vendetta e la strage, e non sapevo a quale partito appigliarmi, nè come o dove fuggire con la moglie puerpera, coi figli lattanti, e col resto della famiglia. Salto al giardino e apprendo che si abbruciava accidentalmente la casuccia di un povero, il quale aveva per cognome Recanati. Un servitore mandato da me alla parocchia impedì quel suono improvido; poche secchie di acqua smorzarono il fuoco, ed io andai a dormire tranquillamente.

L’assedio di Ancona durava molto, e per l’esito di quell’assedio ci restava qualche timore, ma l’uomo si abitua