Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/136

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Olda-Gabriel in persona era giunto a Sciotel, e ci stava dinanzi porgendo la prova di quanto asseriva: una lunga lettera di Zucchi.

Il padre Stella, quando cessarono le chiassose dimostrazioni di giubilo e di contentezza, alle quali noi e gl’indigeni tutti ci eravamo lasciati andare, lesse ad alta voce quel documento per noi interessante.

Alcune cose mi restarono vivamente impresse, così da poterle benissimo ricordare e riportare.

„Sono arrivato ai 4 di Giugno a Massaua — scriveva Zucchi — insieme alla mia famiglia e ad alcuni compagni, sopra un Sambuk1 arabo sul quale mi ero imbarcato a Suez.

«Dopo una breve sosta a Gedda, traversai il Mar Rosso e toccai Suakin, nei cui banchi investimmo e fummo costretti di rimanere alcuni giorni a rischio di spezzarsi contro le roccie in causa di un forte vento che soffiava da N.O. verso la Nubia.

  1. Lo Sambuk arabo è un legno di discreta portata, di forma corta, panciuto e munito, come le antiche galere, d’un castello di poppa alquanto alto, entro il quale trovasi una stanzuccia, aperta all’innanzi. È senza coperta, all’infuori del casseretto di poppa. La prora è assai bassa, assottigliata, prominente, col tagliamare molto inclinato per facilitare l’approdo sui bassifondi. I due alberi non paralleli e disuguali — quello di prora assai più lungo dell’altro — sostengono per ciascuno un’antenna, cui si attacca una vela latina. Siffatti Sambuk, forniti di membratura solida e massiccia, sono fasciati di piccole tavole, assicurate con perni di legno e chiodi di ferro ribaditi. Lo scafo è spalmato, non già a catrame, come si usa da noi, ma con calce mista a sego. La navigazione colle barche arabe si esercita ancora oggidì nel modo stesso che praticavasi ai tempi di Annone cartaginese, senza carte, senza sestante e spesso anche senza la scorta dell’ago calamitato.