Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/158

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già di fianco alla catena di monti che si uniscono col Zadamba, e mi avanzava con a lato il prussiano Ass, che mi teneva compagnia, mentre il resto delle comitiva c’era rimasta alle spalle. Traversammo una fitta foresta colla massima cautela, per essere quella infestata da leopardi e da leoni di cui scorgevamo le orme.

Oltre il timore di cadere in qualche aguato, ci molestava per giunta l’eccessivo ardore, mentre una sete veramente canina ci tormentava.

Discesi da ultimo per un torrente asciutto, che sbocca appiedi del Zadamba, ci trovammo sull’altipiano nel quale allora parecchi indigeni stavano raccogliendo erbe selvatiche pel loro nutrimento.

Chiedemmo ad essi notizie dello stato dei nostri, e se vi fossero novità di rilievo; al che risposero che tutto andava bene, e che nulla d’importante — a quanto ne sapevano — era avvenuto dal giorno della nostra partenza.

In poco tempo arrivammo alla cinta, ove fummo accolti da tutti i compagni che ci assediavano ambidue con domande, ansiosi di sapere le nuove che arrecavamo da Keren.

Prima di parlare ci recammo alla cisterna e bevemmo a sazietà. Io tracannai tant’acqua da gonfiarmene il ventre a segno tale, che non potevo più reggermi.

Preso fiato, mi adagiai sul terreno, ed esposi ai compagni, per sommi capi, quello che di più grave era accaduto lassù in quella memorabile giornata.

Colombo, a sua volta, mi narrò che durante la nostra assenza erano avvenuti alcuni disordini per certi fatti di sventatezza giovanile a cui si erano lasciati andare due dei nostri, e in forza dei quali erano stati in