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esercitandovi il suo ministero, aveva tentato di raccogliere intorno a sè un nucleo di Europei, dediti all’agricoltura ed ai negozi, e vagheggiava l’idea di fondare in quelle prospere regioni una colonia.

All’uopo egli aveva più e più volte sollecitato a Parigi l’assistenza e la protezione del Governo; ma sebbene lusingato da promesse, ogni sua istanza era rimasta senza effetto.

Date perciò le sue dimissioni, si era deciso di recarsi in Italia per ricorrere a quel Governo, acciò gli accordasse protezione ed assistenza per fondare una colonia italiana nel paese dei Bogos.

Partito all’uopo da Massaua, contava in pochi giorni di porre il piede sulla Penisola.

In viaggio però, fatta conoscenza dello spagnuolo Breanzon, proveniente dal Samhar — ov’era stato in esplorazione per trovarvi una miniera di carbone — venne, per certi progetti di quest’ultimo, distolto dal suo viaggio e condotto in Cairo per presentarsi a Pompeo Zucchi ed al celebre Miani, che appunto allora colà si trovavano.

Ivi furono presi gli opportuni concerti per fondare la colonia; ivi, a mezzo del piemontese Colombo, col quale io, reduce dal Trentino, avevo stretto amicizia al mio giungere al Cairo, mi associai a quell’impresa, e partii con essi al 6 marzo per Suakin, ove, dopo la sosta di otto giorni, ci unimmo ad una carovana diretta per Cassala, e partimmo.

Lungo e faticoso fa il nostro viaggio, pel genere degli ostacoli che s’incontrarono: il caldo, la sete e le bestie feroci.

Un incidente spiacevole venne tosto a funestarci.

Lo Spagnuolo, nel secondo giorno dell’intrapreso cammino, si era sbandato, e per ben 26 ore non lo vedemmo