Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/82

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che dovetti ritornarmene sul fatto. L’affare della scomparsa delle scarpe di Glaudios aveva trovato intanto la sua spiegazione. Vicino al luogo in cui le aveva deposte la sera, fu ritrovato un largo foro, e si arguì che qualche rosicchiante le avesse carpite. Per buona sorte non erano le sole che egli ancora possedesse, e così l’incidente passò con una semplice risata.

Quel giorno camminammo attraversando delle amene e ridenti pianure, dei poggi ed altipiani in cui abbondavano tamarindi, balsami, piante oleose e resinose, le quali mandavano un odore sì forte da ingenerare il mal di capo. Ci avanzammo fino oltre a quella zona odorifera e ci fermammo soltanto un ora, senza nemmeno scaricare i camelli.

Mangiammo un po’ di formaggio e bevemmo il solito cognak. Verso sera, entrammo in una nuova foresta, salutati dagli urli delle iene, e tormentati dagli ululati di certi uccelli che distinguevamo al debole chiarore della luna.

Ma l’ora tarda e la stanchezza che ci opprimeva, ci costrinsero a deporre ogni pensiero di proseguire. Stabilimmo invece di pernottare un mezzo miglio più avanti in una pianura circoscritta da alture, una specie di piccola valle.

Quel tratto di terreno era inoltre circondato da una fitta catena di cespugli, ed offriva in certo modo un riparo contro i soliti inconvenienti. Disponemmo in giro parecchi fuochi; poi, scaricati i camelli, ci sdraiammo sulle nostre coperte.

Ben presto però il nostro riposo fu interrotto dai ruggiti d’un leone, che andavano sempre più avvicinandosi e venivano ripetuti dall’eco nelle circostanti colline. Ci alzammo sui gomiti e stemmo in ascolto. Il primo