Pagina:Büchler - La colonia italiana in Abissinia, Trieste, Balestra, 1876.pdf/84

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d’altra parte però ogni consiglio del nostro capo veniva accettato siccome buono, e nessuno si sarebbe sognato di agire in opposizione ai suoi voleri.

Soltanto un’ora prima dell’alba, quel leone si ritirò l’ultima volta, ruggendo in sì strana guisa, che pareva brontolasse tra se dell’inutile assedio tenutoci con tanta costanza ed insistenza.

L’alba finalmente comparve ed allora soltanto ci fidammo di darci in braccio ad un sonno tranquillo per alcune ore. In vero non doveva essere troppo lungo il riposo che ci prendevamo, dappoichè era stato deciso di accelerare la marcia per trovarci più presto che fosse stato possibile, fuori del pericolo di venir assaliti dai Marias. Per ciò dopo le dieci del mattino, fummo tutti in piedi, pronti e lesti alla nuova passeggiata.

Non avevamo per anco assestate le nostre robe sulle schiene dei camelli e dei boriki, che udimmo un calpestio distintissimo entro la foresta, e precisamente dalla parte alla quale eravamo diretti.

Il sig. Stella pensò, che non sarebbe stato improbabile un qualche pericolo, e ci raccomandò di stare all’erta e di porci in aguato dietro le teste degli animali. Anzi ci consigliò a discendere dai boriki e ad appiattarci dietro ai medesimi e dietro ai camelli, coi fucili spianati.

Stando noi alcuni minuti in quell’attitudine, vedemmo comparire gli Indigeni di Keren, i servi cioè del sig. Stella che ci venivano incontro, e dei quali precisamente eravamo sulle traccie. Appena costoro ci distinsero, spararono all’aria alcuni colpi di moschetto, quale manifestazione di giubilo e si avanzarono sino a stringerci la mano, inchinandoci profondamente in segno di obbedienza e di sommissione.