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c. ballatore | 3 |
ben sappiamo come il reale non esista che in modo relativo, cioè per rispetto alla limitazione dei nostri sensi e del nostro intelletto, che è quanto dire, in rapporto colla nostra organizzazione.
Il Du Prel, nel suo aureo libro l’Enigma umano, dà la medesima avvertenza così esprimendosi: «La nostra esperienza terrena dipende dalla nostra organizzazione terrena. Se noi avessimo in fondo del nostro occhio, in luogo della retina, fasci nervosi, che stessero in comunicazione colla chiocciola del nostro orecchio, noi udremmo ciò che ora vediamo; noi non vedremmo l’arco baleno come spettro di sette colori, ma lo udremmo come la scala delle sette note musicali. Esseri di questa natura potrebbero percepire una specie di armonia delle sfere là dove noi vediamo il cielo stellato». Il Del Re aggiunge: «per essi la visione di una bell’opera d’arte sarebbe come l’audizione di un bel pezzo di musica»1.
Insomma l’universo, e per conseguenza lo spazio, non ha un aspetto a sè, ma lo ha in relazione all’essere che l’osserva; tante forme differenti vi sono per l’universo quante sono le specie degli esseri che ne registrano le impressioni; ogni essere idealizza in qualche modo lo spazio del suo universo; laonde il Kant, argomentando su quel che comunemente noi chiamiamo l’altro mondo, dice che il medesimo può considerarsi un’altra maniera di essere e di sentire.
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Lo studio dello spazio ci porta a qualche considerazione sul tempo del quale soventi si ragiona pur chiedendo in ausilio l’idea delle dimensioni. Tempo e spazio sono due termini così legati e direi quasi così affini, che l’uno è talvolta l’altro, o per lo meno soventi non possiamo immaginarli separatamente. — Il tempo è pur talvolta riguardato quale fenomeno di coscienza. — Il Boucher2 ne fa una rappresentazione concreta riferendolo allo spazio e se lo immagina come una linea retta infinita; da una parte il passato, dall’altra l’avvenire, e fra i due il presente, punto sempre mobile impossibile a toccarsi.