Pagina:Bandello - Novelle, Laterza 1911, IV.djvu/461

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458 PARTE TERZA

tribunale sarò io di ciò che farò, accusato? che mi potrà far il conte di Prata se io la moglie gli levo? che impaccio mi darà l'ammirante di Spagna se io sua figliuola al suo genero rapisco? Ma che so io, lasso me! se ella se ne contenterà? che so io, che del marito ella non sia innamorata? E se questo fosse, io posso esser sicuro che mai di buon core a’ miei piaceri non attenderebbe, ed io per lo continovo averei lo stimolo del suo rammarico, che mai non mi lasciarebbe gustar piacer alcuno intiero, e la mia vita sarebbe sempre travagliata. E se io facessi ammazzar il conte di Prata, che danno me ne seguirebbe? non lo potrei io fare sì celatamente per via dei miei fidati servidori, che nulla mai se ne risapesse? Ma come una cosa è in mano de’ servidori, ella per l’ordinario è in bocca del volgo. Ai,?iè, che dura vita è questa, ove io da poco in qua sono entrato! lasso me, che io non sono più quello che esser soleva! Non veggio io che tutti questi pensieri, che per la mente mi vanno, mi mostrano certamente che io son fuor di me stesso e che, di re che sono, voglio diventar crudelissimo tiranno? Che offesa mi fece mai il conte di Prata, ch’io debba pensare, non che fare, cosa alcuna che in suo danno o vituperio sia? Anzi, se io rammento i fatti dei suoi e miei avi, troverò io che sempre questi conti di Prata sono stati fidelissimi a la casa di Ragona e che quando il re Piero acquistò e prese l’isola de la Sicilia, che largamente in servigio nostro sparsero il lor sangue. Ma che vo io cercando le cose vecchie, se del padre di costui e di lui ho io manifestissimi essempi, che sempre furono fidelissimi? E contra questo povero conte, che tanto m’ama e che mille volte l’ora metterebbe la vita in mio servigio, vorrò io incrudelire e levargli la moglie, che forse più di me, ragionevolmente, come si sia, ama? Diventerò io peggio che i mori di Granata, i quali sono certissimo che simile scelera- tezza non commetterebbero? Che debbo adunque fare? Egli è necessario adunque che io, me stesso vincendo, non solamente temperi questo mio sfrenato appetito, ma che in tutto l’ammorzi e levi fuor del mio petto, e quantunque egli a metterlo in esse- quizione sia duro, anzi difficillimo, bisogna che io mostri che la ragione in me più vale che il senso. — E così fermatosi ne l’animo