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LETTERA VENTINOVESIMA
di don Paolo Valcarengo a Carlo Gandini
[Notizie varie, accenni al suo Discours sur Shakespeare et sur monsieur de Voltaire, e violenta sfuriata contro il conte Pietro Verri.] Caro il mio signor Carlo, voi siete un corrispondente d’oro, che scrivete agli amici lontani delle lettere lunghe e piene d’ogni cosa. Peccato noi facciate un po’ piú sovente. Dunque la morte m’ha privo del dottor Bicetti e del segretario Fuentes? Oh, grave cosa anche l’amicizia, che o tosto o tardi t’ha a cagionare di queste amaritudini, se vivi troppo! Quante belle ore non ho io passate nella compagnia di que’ due degni uomini, quando eravamo tutti e tre giovani, tutti e tre amanti delle buone lettere, tutti e tre sfavillanti di poesia! E quando il mio Tanzi era vivo anch’esso, il bel quarto che faceva nella nostra congrega! E il Soresi, anch’esso; e quel re de’ galantuomini conte Imbonati, nella di cui amplissima sala ci raccoglievamo si di spesso a conversare! Memorie dolorose! memorie tristi! Mò se ne sono tutti andati! Dio se li tenga nella sua santa gloria, e mi chiami ad essi tosto per non separarmene piú mai! Ben mi dorrebbe, signor mio, che donna Rosa dovesse perdere quel poco che il padre s’aveva, per falta d’un testamento. Dunque in Milano un fratello reda a preferenza d’una figlia e de’ di lei figliuoli? Brutta legge, e gotica, e contro natura! Ma come si può che, informato d’una tal legge, come doveva esserlo, il segretario non abbia voluto far testamento, veggendosi presso ai settanta e minacciato dall’apoplessia? Davvero, che costi non operò da quel savio ch’egli era pure, quantunque volte gli piaceva d’esserlo. Mi duole altresi della signora Cecca e de’ suoi figliuoli, che, se il Songa mi dice vero, sono stati lasciati dal dottore in troppo ristrette circostanze. Oh, mondaccio