Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/59

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di ritirarsi dallo steccato i ma indarno, e tardi; perché Galeatum, sero duelli poenitet.

Hanno seminati, come Cadmo, detti mordaci, quasi denti di serpe velenosa; si sono dipoi atterriti, vedendone nascere di repente un’ esercito d’ armati, Messis cum proprio mox bellatura colono.

Hanno presa (come disse Archiloco a chi fuor di ragion, volle provocarlo) la Cicala per l’ ali e udendone poscia le grida, vorrebbono o non aver’ avute mani per prenderla, o non avere orecchi per sentirla. L’ hanno attaccata come Marsia con Apollo, credendo essere un Pastore quello ch’ era un Dio; quando poi si son veduti scorticar come un Bue, hanno chiesta pietà, hanno offerte promesse: ma indarno; ché chi voleva la pelle non s’ è lasciato dar parole, né vincer dalle preghiere chi fu vincitore del canto. In fine si son trovati come in mezzo alle vipere, e a gli aspidi, né hanno saputo di chi lagnarsi fuor che di sé soli, che vi si andarono a mettere temerariamente in mezzo: tardi avvertiti, e queruli senza pro; come quell’ infelice esercito romano, che, trovati in Africa più mostri che uomini nemici, con chi guerreggiare, diceva:

Nihil, Africa, de te,

Nec de te, Natura, queror, Tot monstra ferentem,

Gentibus ablatum, dederas serpentibus, orbem.

In loca serpentum nos venimus.

Un tal fu Ruffino, che a gran suo danno punse e provocò San Girolamo, e volle essergli anzi emulo che amico. Dipoi provando com’ egli avesse e destra in colpire e pesante in ferire la mano, volle sottrarsi dalla mischia gridando, sé essere senza sua colpa punito. Amore di verità non passione di sdegno avergli guidata la mano mentre scrivea. Non doversi fra Cristiani, fra Monaci, prendere i tiri di penna come colpi di spada. A cui S. Girolamo, Esto, disse, me nescius vulneraris: quid ad me,