Pagina:Bartoli - Dell'uomo di lettere II.djvu/60

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qui percussum sum? Num ideirco curari non debeo quia tu me bono animo vulnerasti? Confossus jaceo, stridet vulnus in pectore, eandida prius sanguine membra turpantur; et tu mihi dicis: Noli manum adhibere vulneri, ne ego te videar vulnerasse?


Avvisi intorno al pericoloso mestiere di scrivere contro altrui e alla maniera di difendere sua ragione.


Non basta, per avviso di chi sa poco e ardisce molto, aver fin’ ora detto, come un Calzolajo, che di suo mestiere non s’ alza ultra crepidam, non de’ voler salire fino alla faccia, e condannare un volto di sdegno e dipinto da Apelle, il cui magistero, com’ egli non ha occhi dotti sì che l’ intendano non dee avere lingua ardita di condannarlo. Resta ancora a dirsi di ciò che richieggono i contrasti fra gl’ intendenti perché riescano a livello della ragione, e conforme alle misure del retto; sieno poi essi

o impugnazioni degli altrui scritti, o difese de’ proprj. E quanto allo scrivere contro altrui, come l’ amore della verità convien che sia quel solo, che metta in mano la penna, e in certo modo faccia lo Scrittore suo Cavaliere; così la modestia dee essere la maestra, che insegni l’ arte di maneggiarla, usandola non come lancia di Soldato, ma come lancietta di Circugico, contro all’ errore per ammenda, non contro all’ autore per offesa: mostandosi in ciò buono scolare della divina Sapienza, il Verbo; la cui bocca nelle Cantiche si paragona non alle rose, che pure sono di colore che più d’ ogni altro fiore rassembra le labbra ma si assomiglia a’ gigli: e questo non tanto perché la candidezza della Verità, propria e naturale della bocca di Cristo senza pittura o abbellimento forestiere da sé sola bastevolmente risplende, ch’ è ingegnosa posizione di Teodoreto; ma ancora perché il giglio è un fiore non meno