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il san michele espugnato 185

mento di Doberdò. Sotto Oppacchiasella si scorge la nostra fanteria.

Opera con un ordine stupendo. Manovra come in piazza d’armi. Combattere sull’erba, fra le piante, in movimento, deve sembrare un giuoco agli espugnatori del Carso. I plotoni si spostano di corsa, uno alla volta. Escono dall’ombra di una siepe, di un muricciuolo, di un ciuffo d’alberi, sfilano per uno, attraversano una radura, un campicello, lino spiazzo erboso, spariscono. Non è il brulichìo dell’assalto. È una preparazione. Ad intervalli, una collana d’uomini passa nella luce. Per qualche minuto la montagna sembra deserta, poi gli ometti grigi riappaiono, mentre arriva un martellare sonoro di mitragliatrici. Dio vi protegga, fratelli!

Lo spostamento della battaglia ha fatto avanzare tutti i quartieri generali. Presso un cascinale, avanti al quale passiamo qualche ora dopo, sulla via del ritorno, alcuni carabinieri in sentinella e delle automobili in attesa indicano la presenza di un comando.

Lì presso, seduto sui gradini di una rustica scaletta di pietra, stanco e assorto, è un elegante ufficiale austriaco. È stato portato poco prima per essere interrogato. Lo hanno catturato da qualche ora soltanto, insieme ai suoi soldati. Ci fermiamo ad osservarlo. Vedendosi guardato, egli porta due dita al berretto, saluta, in italiano: — Buon giorno! — e scatta in piedi.