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CAPITOLO IV.


SULLE MONTAGNE

Passando la Grande Muraglia — I marinai ci lasciano — In corsa per la campagna cinese — All’ombra della Lian-ya-miao — Momenti d’ansia — La Mongolia ci appare.


Vista da lontano, la Grande Muraglia, fusa e confusa alle montagne come una prodigiosa sagomatura delle loro stesse vette e dei loro fianchi, non dà l’impressione d’un’opera umana: è troppo vasta — e quel che se ne vede non è di essa la millesima parte. Si direbbe piuttosto una fantastica bizzarria della terra emersa per il lavoro d’immense e ignote forze naturali: il prodotto d’un cataclisma creatore.

A mano a mano che ci avvicinavamo, la Grande Muraglia spariva celandosi dietro ad un tumulto di vette; e non siamo ritornati a rivederla che alle ultime svolte del sentiero, quando stavamo per varcare le porte massiccie, doppie, difese da bastioni ancora validi. La strada verso la sommità non è più che un solco nella viva roccia, e sempre più ripida, difficile. Camminavamo da otto ore sotto la pioggia ininterrotta; procedevamo lentamente, con fatica, costretti a fermarci ogni istante a rimuovere delle pietre, a preparare dei passaggi alle ruote, a difendere il volano minacciato dalle punte sporgenti del suolo. Tutto intorno una selvaggia e tetra sterilità.